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Vino artigianale nella ristorazione e sommelier comunicatore

Vino artigianale, una nicchia da scoprire e concetto curioso.

Tra i recenti comunicati di Vinitaly Webinar ho trovato anche questo argomento che mi ha incuriosito, soprattutto per la termine “artigianale”, che fino ad ora – nella mia abissale ignoranza – sapevo attribuito alla birra (birra artigianale) o alla grappa (grappa artigianale, quasi da confondere con quella che si dice di “casa”).

Sono, tuttavia al corrente di tante discussioni intorno ai termini “naturale”, “biologico”, “biodinamico”, “sostenibile”, riferiti a quelli prodotti agricoli senza interventi da parte dell’uomo (OGM) e senza l’impiego di diserbanti e conservanti chimici.

Avevo letto di tante aziende che si erano “convertite” al bio, ma da nessuna parte avevo letto l’espressione “artigianale” attribuita né al lavoro dei vignaioli o dei contadini né al frutto di questo lavoro.

La parola mi evoca prima di tutto il contrario di ciò che è definibile “industriale”, cioè un’attività o un prodotto fatto con mezzi meccanici e su larga scala.

Il suo contrario, pertanto, sarebbe l’attività o il prodotto ottenuto tramite un lavoro manuale, con l’impiego di mezzi tecnici semplici e soprattutto di limitata quantità, per quanto di alta qualità.

 

E pertanto mi viene spontaneo attribuire il termine “artigianale” ai conduttori di piccole aziende, ai proprietari di un numero ristretto di ettari a vigneto, ai vignaioli che non conferiscono le uve all’ammasso delle grandi cantine ma se le lavorano in proprio.

Siccome, però, non posso competere con gli esperti in materia enologica, mi affido a quanto ha raccontato nel webinar Matteo Circella, Premio Speciale Guida Michelin come migliore Sommelier 2021, mettendo in evidenza alcune sue affermazioni.

Il webinar, promosso da Vinitaly in collaborazione l’Associazione Vi.Te. Vignaioli e Territori, verteva su un tema molto interessante: il ruolo del sommelier nella comunicazione del vino artigianale, considerato una “tipologia di prodotto-nicchia non convenzionale da far scoprire e amare”.

Cosa si intende per artigianalità del vino

Matteo Circella afferma che «Per artigianalità si intende un mondo del vino legato alle persone, all’identità che racconta un lavoro, un’idea, il lato umano della produzione del vino che non è solo un prodotto finito», perché «il vignaiolo è terra, qualità del lavoro in vigna, lavoro che è passione e contemporaneamente divertimento».

Ecco allora è artigiano il vignaiolo che ama i suoi filari, li controlla uno per uno anche d’inverno, gioisce al primo germoglio, al primo virgulto, ai primi grappoli, affidandosi ai ritmi della natura, e poi trasforma la vendemmia in una vera festa.

E infine trasforma il succo d’uva in vino, imbottiglia ed etichetta.

Quando Matteo Circella dice che il compito di diffondere conoscenza del prodotto è affidata al sommelier come divulgatore e che «il sommelier detiene il nobilissimo ruolo di anello di congiunzione tra il vignaiolo, la sua fatica e il cliente che si aspetta di uscire felice e soddisfatto dall’esperienza enogastronomica», in verità non dice niente di nuovo, almeno per i vignaioli, i quali si aspettano proprio questo.

Tutto ciò mi ha fatto ripensare a questo articolo dove citavo una frase bellissima di un vignaiolo presente a Vinitaly del 2019: «Raccontare il proprio vino significa raccontare il passato, la storia del territorio, tutto si ritrova versato nel bicchiere».

Questo è il vero segreto della artigianalità riferita al vino.

Il sommelier può essere divulgatore se è sincero

Secondo me il compito del sommelier o dell’addetto alla carta dei vini non può essere solo quello di indicare gli abbinamenti più adatti alle pietanze, quando il cliente pronuncia la fatidica frase “Che vino ci consiglia?”.
Frase che io considero pericolosissima, quasi a danno di chi pone la domanda, giacché il commensale a quel punto non può rifiutare il consiglio professionale (e farebbe ancor più misera figura se chiedesse il prezzo della bottiglia!).

Circella dice anche che il sommelier divulgatore “per differenziarsi e guadagnarsi la fiducia del cliente deve uscire dagli schemi standardizzati”.

Certamente una comunicazione “snellita da tecnicismi” crea anche un rapporto di maggior fiducia con il consumatore e non sminuisce il rispetto per la preparazione della persona che consiglia il vino.

Io personalmente in qualunque luogo d’Italia mi sono trovata, ho sempre preferito farmi consigliare un vino “della zona”, perché mi fido della “artigianalità”.

E se è vero, come dice Circella, “il sommelier è prima di tutto uno psicologo”, mi aspetto sia sincero e davvero conosca personalmente la cantina d’origine della bottiglia.

Assaporo più volentieri un vino sul quale mi si racconti un po’ di storia, perché quasi mi pare di bere in compagnia del vignaiolo che lo ha prodotto.

Maura Sacher


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