Tribuna

Tovaglia o non tovaglia, minimalismo è la tendenza anche in ristorante

Non sempre nei locali pubblici di ristoro oggi i tavoli vengono coperti da una tovaglia, e non per incuria bensì per una nuova tendenza, un moda che si piega al minimalismo, anche se l’assenza di tovaglia non viene esaltata come tratto caratteristico nella pubblicità del locale.

Eppure i tavoli senza tovaglia possono rendere l’immagine del posto dove si va a mangiare, giacché non sono privilegio solo di certe taverne all’antica o delle più raffinate moderne versioni quali i «bistrot», bensì possono far diventare «cool» un ristorante, anche stellato.

In fondo, siamo sinceri, chi dà un giudizio sul locale se sulle tavole sono stese tovaglie di lino, cotone, damascate, ricamate, traforate, bianche, gialle, rosa, viola o marrone? Non è il cibo servito che conta? E chi fa caso alla loro mancanza, quando il tavolo è di per sé di pregio? Forse i giovani?
O solo forse i “matusa”, i vetusti, gli ancorati a canoni di un «bon ton» che i tempi vogliono sia cancellato in nome di uno stile di vita sociale in cui le minoranze “politicamente corrette” hanno la meglio sulla maggioranza troppo silenziosa?

La tovaglia, ossia un telo di copertura della tavola destinata al banchetto, esiste fin dalla notte dei tempi della civiltà, anzi, in origine, aveva profondo valore spirituale, quale arredo sacro di rispetto verso la divinità a cui si dedicavano riti sacrificali ed era un tessuto di puro lino, candido.
Successivamente, in epoca greco-romana, se da un lato la telata era un modo per nascondere le impalcature improvvisate per ospitare tanti invitati dall’altro rappresentava la comunanza, nell’uniformare i posti dei presenti in un unico consesso. Ma non solo, proteggeva il ripiano dalle impronte dei tegami troppo caldi.

Con il tempo, la tovaglia è diventata simbolo di eleganza, e soprattutto quelle lunghe, che coprono le gambe dei tavoli, danno un’atmosfera di pregio sia ai ristoranti sia alle nostre sale da pranzo, nelle occasioni importanti. Benché il criterio sia che debbano scendere “almeno” trenta centimetri dal tavolo e non di più per non impacciare le gambe dei commensali.

Nel frattempo è subentrata la moda delle tovagliette cosiddette “all’americana”, per il coperto del singolo commensale, anche di vimini, sughero, giunco, e plastificate, dalle svariate dimensioni, quadrati, rotondi, rettangolari, ovali, assortite nei colori e disegni per tutti i gusti, e persino usa e getta.

In fondo che fa? Tovaglia o non tovaglia, è problema del personale del locale spazzolare le briciole di pane e pulire eventuali macchie sul ripiano da residui di cibo inavvertitamente cadute, prima che altri si siedano al nostro posto.

Come al bar.
Certo si risparmia in lavanderia.

Maura Sacher


Grazie per aver letto questo articolo...

Da 15 anni offriamo una informazione libera a difesa della filiera agricola e dei piccoli produttori e non ha mai avuto fondi pubblici. La pandemia Coronavirus coinvolge anche noi.
Il lavoro che svolgiamo ha un costo economico non indifferente e la pubblicità dei privati, in questo periodo, è semplicemente ridotta e non più in grado di sostenere le spese.
Per questo chiediamo ai lettori, speriamo, ci apprezzino, di darci un piccolo contributo in base alle proprie possibilità. Anche un piccolo sostegno, moltiplicato per le decine di migliaia di lettori, può diventare Importante.
Puoi dare il tuo contributo con PayPal che trovi qui a fianco. Oppure puoi fare anche un bonifico a questo Iban IT 94E0301503200000006351299 intestato a Francesco Turri

Articoli correlati

Pulsante per tornare all'inizio