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Quei cinque visionari “svitati”

Quei cinque visionari "svitati"

Quei cinque visionari “svitati”

Cinque amici, cinque aziende (Franz Haas, Pojer&Sandri, Graziano Prà, Silvio Jermann e Walter Massa) hanno sposato la causa del tappo a vite per le loro bottiglie.

Silvio Jermann, Maria Luisa Manna, Walter Massa, Graziano Prà, Franz Haas VIII e Mario Pojer

Tappi di sughero addio? 

Forse è presto per dirlo. 

Le statistiche sembrano propendere per questa ipotesi soprattutto dopo che molti operatori del settore, soprattutto australiani, amercani e sudafricani, per non parlare dei vignaioli austriaci e tedeschi, stanno abbandonando il tradizionale sughero per il tappo a vite anche perché è dimostrato che quest’ultimo garantisce una più sicura conservazione del vino. 

E ciò vale non solo per i vini bianchi, ma anche per molti vini rossi.

Certo il fascino di aprire una bottiglia è altra cosa e così pure l’emozione nell’aprire con il tradizionale beneaugurante “botto” una bottiglia di Champagne o uno spumante metodo classico italiano.

Tra coloro che stanno abbandonando il sughero per puntare sul tappo a vite annoveriamo cinque aziende italiane, tra le più prestigiose: Franz Haas, Pojer&Sandri, Silvio Jermann, Graziano Prà, Walter Musso. Cinque amici, cinque visionari del pianeta vino che hanno dato vita al Gruppo degli “Svitati”. 

Svitati di nome e di fatto. 

Nei giorni scorsi nella splendida cornice di Villa Sorio a Gambellara hanno presentto le loro ricerche e i lori progetti.

Tutto è nato nel 2021 da una degustazione comparativa a Brescia, passando per un karaoke improvvisato sui Colli di Parma l’anno successivo, fino alla presentazione ufficiale del gruppo avvenuta nei giorni scorsi. Così nascono gli “Svitati”. 

Svitati di nome e di fatto: Franz Haas, Graziano Prà, Jermann, Pojer & Sandri e Walter Massa. 

Cinque aziende, cinque amici di vecchia data, che hanno condiviso i decenni di rivoluzione del mondo del vino. 

Ognuno con una propria, spiccata personalità che si riflette nelle loro bottiglie, ma accomunati dallo stesso spirito di “vigneron” sinceri e lungimiranti.

Le basi del gruppo erano state poste già negli anni Ottanta, quasi quattro decenni fa, quando le cinque cantine hanno iniziato a riflettere sul possibile utilizzo di altre tipologie di chiusure in sostituzione del sughero.

Lo sguardo pionieristico e l’esempio degli Stati Uniti e della Nuova Zelanda

 Lo sguardo pionieristico di queste cantine si è inevitabilmente spostato verso le nuove frontiere del vino, che in quel momento già si stavano facendo largo negli Stati Uniti e in Nuova Zelanda. 

Anni di viaggi, degustazioni, confronti e giri di vite, fino ad arrivare al tappo a vite che Franz Haas, Graziano Prà, Jermann, Pojer & Sandri e Walter Massa hanno identificato come soluzione ottimale per preservare il lavoro svolto in vigna e in cantina.

Tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023 il progetto Svitati ha finalmente preso vita, raggruppando questi cinque visionari del vino italiano convinti che sia giunto il momento per parlare del tappo a vite senza pregiudizi di sorta. 

Dopo anni in cui questa chiusura è stata tacciata come scelta economica o riservata a vini di poca qualità, gli “Svitati” oggi vogliono raccontare le loro esperienze e loro storie lasciando parlare i loro vini, affinchè il tappo a vite possa essere pienamente compreso e condiviso da un pubblico di professionisti e appassionati sempre più ampio.

Ma perché chiudere la bottiglia con il tappo a vite? Ecco le risposte

Perché è più buono. Il tappo a vite è in grado di preservare al meglio il vino, mantenendo quelle qualità organolettiche tanto ricercate e protette dai cinque Svitati. Oltre ad evitare spiacevoli alterazioni nel gusto e nel profumo, permette una sigillatura perfetta, un’evoluzione corretta e una migliore conservazione.

Perché è più rispettoso. Il tappo a vite permette di avere una omogeneità qualitativa delle bottiglie, anche quando si stappano vecchie annate. Elimina, inoltre, il problema delle bottiglie fallate, diventando un segno di attenzione verso coloro che se ne verseranno un calice, ma anche per tutti i professionisti coinvolti nella filiera. 

E poi il tappo a vite è realizzato in alluminio, un materiale completamente e facilmente riciclabile, per essere rispettoso anche verso l’ambiente.

Perché è più comodo. Il tappo a vite è facile da aprire e facile da chiudere, permettendo al vino di mantenere una conservazione ottimale anche dopo la prima apertura ed essere perfetto fino all’ultimo calice.

I pregiudizi, le degustazioni, i confronti, i giri di vite e infine la rivoluzione

E’ una piccola rivoluzione quella che si è tenuta a Villa Sorio di Gambellara (VI). Franz Haas, Pojer&Sandri, Graziano Prà, Jermann e Walter Massa, cinque pionieri del tappo a vite in Italia, si sono riuniti per raccontare il loro modo di “fare vino” e, soprattutto, di tappare le bottiglie, contro i pregiudizi che hanno spesso accompagnato questa tipologia di chiusura.

Le basi del gruppo erano state poste già negli anni Ottanta quando le cinque cantine hanno iniziato a riflettere sul possibile utilizzo di altre tipologie di chiusure.

 Il loro sguardo avanguardista si è spostato in particolare verso le frontiere del Nuovo Mondo. 

Anni di viaggi, degustazioni, confronti e giri di vite, ognuno con la propria esperienza, da MarioPojer che aveva pensato di “sigillare la bottiglia con la fusione del vetro come fosse una fiala per non lasciar passare l’ossigeno” 

a Graziano Prà che durante un viaggio in Colorado, ad Aspen, aveva avuto una rivelazione assaggiando un Sauvignon Blanc imbottigliato con tappo a vite e venduto a 30 dollari, il primo segnale che il pregiudizio stesse iniziando a tramontare.

Il tappo a vite preserva la qualità e l’evoluzione organolettica del vino

Ciò che ha portato i cinque “Svitati” alla scelta e all’utilizzo del tappo a vite è di una semplicità disarmante:

 il fatto cioè di aver verificato il perfetto mantenimento di quelle qualità organolettiche del vino tanto ricercate e valorizzate dal lavoro nel vigneto e in cantina. 

Grazie alle sue caratteristiche questa tipologia di tappo permette infatti una micro ossigenazione costante, 

preservando il vino e permettendo un’omogeneità qualitativa anche nel caso di vecchie annate, oltre ad una corretta evoluzione.

“Siamo cinque aziende che cercano la precisione fin nei minimi dettagli, scegliamo i vitigni che più ci rappresentano e le uve migliori, in cantina abbiamo tutto quello che ci può aiutare a produrre un vino di un’altissima qualità. 

Ma soprattutto abbiamo a disposizione il tappo ideale per mantenerla. 

Ecco perché non possiamo non approfittarne. La precisione che abbiamo sempre ricercato oggi è anche un atto dovuto nei confronti del pubblico e nei confronti del vino” hanno commentato all’unisono i produttori. 

Il riscontro scientifico del prof. Fulvio Mattivi della Fondazione Mach

Il professore Fulvio Mattivi, ricercatore della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige, è intervenuto durante la presentazione del progetto “Svitati” 

a sostegno dell’utilizzo del tappo a vite riportando le analisi dell’Australian Wine Research Institute che già nel 1999 aveva condotto le prime interessanti sperimentazioni su quattordici diverse tipologie di chiusure del vino compreso il tappo a vite, 

che presenta una permeabilità all’ossigeno molto più bassa e variabile a seconda del rivestimento utilizzato all’interno del tappo.

 “Nelle bottiglie con questa chiusura, a distanza di anni, il vino dimostrava un colore ancora brillante e presentava delle caratteristiche organolettiche ideali. 

Sia per i vini rossi che per quelli bianchi, in queste degustazioni, le bottiglie con tappo a vite erano uguali alle migliori bottiglie con tappo di sughero.

” Il tappo a vite diventa quindi segno di attenzione sia verso coloro che se ne verseranno un calice, sia per tutti i professionisti coinvolti nella filiera.

La chiusura in alluminio, anche nel rispetto della sostenibilità ambientale

Gli “Svitati” hanno deciso di optare per questa scelta anche per il discorso della  sostenibilità ambientale: la chiusura è realizzata in alluminio, un materiale rispettoso anche verso l’ambiente. 

L’appuntamento a Villa Sorio è stato anche l’occasione per analizzare come il mercato globale, in particolare negli ultimi otto anni, stia dimostrando un’attenzione sempre maggiore a questa chiusura.

 Dai dati riportati da Stelvin e Guala Closures oggi quattro bottiglie su dieci sono imbottigliate con tappo a vite, con una percentuale che in Europa Occidentale, storicamente più tradizionalista, è passata dal 29% nel 2015 al 34% nel 2021 (con un 22% in Italia).

 Il lavoro di squadra degli “Svitati” vuole essere il punto di partenza di questo nuovo “movimento” del vino, un gruppo di produttori formatosi spontaneamente per rivolgersi ad un pubblico che si dimostra sempre più consapevole, ma anche ad amici produttori – sempre più numerosi – pronti per diventare altrettanti “Svitati”.

Franz Haas: la moglie Luisa, il figlio Franz, l’enologo Stefano Tiefenthaler

L’altoatesino Franz Haas VII, un altro visionario, è morto il 13 febbraio 2022

Franz Haas non è solo una cantina, è una grande famiglia formata da molte persone che hanno preso in mano la forte eredità lasciata da Franziskus alias Franz, scomparso prematuramente nel febbraio dello scorso anno. 

Della continua e instancabile ricerca della perfezione ne ha fattouna filosofia di vita, tramandata alla squadra che oggi porta avanti i suoi insegnamenti, a partire dalla moglie Luisa Manna che ha contribuito dalla fine degli anni Ottanta a fare crescere la Franz Haas assieme a lui. 

Il figlio Franz è al suo fianco e in cantina il suo lavoro è seguito da una giovane squadra capeggiata da Stefano Tiefenthaler, figlio d’arte in cui Franziskus aveva riposto la sua fiducia. 

Il suo spirito innovatore ha portato la cantina verso nuovi orizzonti del “fare vino”: dall’estirpazione ad inizio degli anni Ottanta delle pergole per sostituirle coni primi impianti a guyot, fino all’allevamento di vitigni a 1.150 metri di quota, 

tra i più alti dell’Alto Adige, intuendo l’unicità delle caratteristiche che avrebbero portato nel calice, fino al tappo a vite, frutto di trent’anni di ricerca. 

L’eredità che Franz VII ha lasciato è un Alto Adige alla costante ricerca della perfezione e che vede nel tappo a vite la chiusura ideale affinchè “tutto il nostro lavoro, i giorni e le notti che dedichiamo al nostro lavoro, si concludano sempre con un vino all’altezza del nostro impegno e delle nostre aspettative. 

Questo è il mio cerchio perfetto, dalle viti fino all’ultimo giro di vite.“

Graziano Prà, il vignaiolo bio: dalle colline del Soave alla Valpolicella

Graziano Prà- Una meraviglia il Soave con il tappo a vite

Graziano Prà è un uomo di vigna che ha scelto di percorrere la sua strada nel mondo del vino con impegno, passione e sincerità. 

Dai primi ettari tra le colline del Soave fino agli appezzamenti nella parte più alta e fresca della Valpolicella, Graziano ha scelto di votare la sua viticoltura a una celebrazione e valorizzazione del suo territorio, perché “un vino non può essere grande se non sa raccontare il terroir in cui nasce.

” Da autentico vignaiolo ha scelto fin dal principio di produrre i suoi vini a partire da sole uve autoctone, allevate con cura e in regime biologico, lavorando con basse rese e in modo scrupoloso dal vigneto al calice.

 Nascono così vini pregiati che lui ama definire gastronomici, perché celebrano la convivialità e la cultura della condivisione, del sedersi insieme attorno ad un tavolo come si fa ogni giorno nella sua cantina.

Per molti anni Graziano ha cercato la migliore soluzione a supporto della longevità delle sue eccellenti etichette ed è stato uno dei primi a intuire le grandi potenzialità del tappo a vite. 

Oggi imbottiglia in questo modo tutta la linea dei suoi Soave, compresi i grandi Cru, e il Valpolicella, ma punta ad estendere il tappo a vite anche al Valpolicella Superiore perchè “credo nella vite, anche quando si tratta del tappo” sostiene con caparbietà.

Silvio Jermann, vignaiolo visionario, padre del mitico “Vintage Tunina”

Silvio Jermann, un visionario che non accetta compromessi

Quella di Jermann è un’azienda storica fondata nel XVIII secolo, ma è negli anni Settanta che subisce una svolta epocale grazie al nipote Silvio Jermann. 

Un vignaiolo visionario, che dopo un’esperienza in Canada ha scelto di dedicarsi a vini fatti di testa sua, secondo la sua indole avanguardista. 

Vintage Tunina nasce negli anni Settanta, quando parlare di “blend” sembrava infrangere un tabù. 

Eppure Jermann immagina e crea un uvaggio inedito, assemblando uve di Sauvignon, Chardonnay, Malvasia Istriana, Ribolla Gialla e Picolit. 

Nasce così Vintage Tunina, che nel 2016 viene giudicato il più grande vino bianco italiano nel mondo.

Da innovatore, ma pragmatico, Silvio si domanda: “Cosa succede se rompo un altro tabù e sigillo con una capsula Stelvin una bottiglia del mio migliore vino?”

 Ed ecco che il tappo a vite rende Vintage Tunina, e poi gli altri vini firmati Jermann ancora più “svitati”. 

Oggi la tenuta Jermann è a Ruttars, nel cuore di Dolegna del Collio (Gorizia), dove produce vini che rappresentano al meglio la qualità e le caratteristiche di questo territorio.

Pojer & Sandri, un sogno diventato realtà tra Faedo, Cembra e Grumes

Il brindisi di Mario Pojer e Fiorentino Sandri con lo Zero Infinito

Produrre vino di gran pregio da vigneti tra la Valle dell’Adige e la Valle di Cembra sembrava un progetto di difficile realizzazione. 

Eppure proprio qui, sulla collina di Faedo, Fiorentino Sandri aveva ereditato due ettari dal padre e decide di investirvi insieme all’amico di una vita, Mario Pojer.

 Nel 1975 nasce così l’azienda agricola Pojer & Sandri: due giovani con idee chiare, molto coraggio e il sogno di produrre un vino dove la chimica non è ammessa, dove tutto deve seguire un filo logico verso la purezza assoluta. 

Oggi questo sogno è realtà e, tra Cembra e Grumes, Pojer & Sandri coltivano vigneti di montagna nel pieno rispetto della natura, in un luogo unico caratterizzato da lunga irradiazione solare, terreni calcarei e dalla brezza dell’Ora del Garda.

L’innovazione da sempre perseguita in cantina si ritrova anche nell’uso del tappo a vite. 

“A livello tecnologico abbiamo sempre guardato avanti, tanto da brevettare una pompa peristaltica e una pressa per pressare in assenza di ossigeno. 

Un’attenzione maniacale fino all’imbottigliamento con relativa chiusura della bottiglia. 

Continue sperimentazioni, degustazioni di confronto, molti scambi di informazioni e bottiglie con i colleghi, non tutti svitati, ci hanno portato alla chiusura più performante, neutrale, sostenibile, pratica.”

Walter Massa, nume tutelare di un vino dimenticato: il Timorasso

Walter Massa, il vgnaiolo piemontese che ha salvato il Timorasso

Genio e sregolatezza, Walter Massa è il pioniere della viticoltura sui Colli Tortonesi e un visionario nel mondo del vino italiano.

 Negli anni Settanta prende le redini dell’azienda familiare e, in un momento in cui tutti i produttori locali si rivolgevano all’uva Cortese, ridà vita al Timorasso e al suo territorio, recuperando questo vitigno dimenticato e facendone un portabandiera dell’area di Derthona. 

A questo bianco ha affiancato negli anni non solo svariati Cru provenienti da più parcelle e vigneti, ma anche grandi etichette di rossi provenienti da Barbera, Croatina e Nebbiolo. 

Oggi Walter Massa chiude la maggior parte dei suoi vini con tappo a vite. E lo spiega: “In vigneto così come in cantina usiamo la massima attenzione per produrre vini puliti, nella vita di tutti giorni usiamo tutta la tecnologia che abbiamo a disposizione.

Perché per tappare una bottiglia dovrebbe essere diverso? 

Abbiamo a disposizione una chiusura moderna, che rispetta il vino e i consumatori e che ne mantiene perfetta la conservazione.

 Usiamola! 

E agli scettici del tappo a vite risponde “Lasciamo parlare il vino”. (GIUSEPPE CASAGRANDE)z


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