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La Georgia, culla del vino e le sue anfore millenarie

Georgia una tradizione ancestrale. Il prof. Attilio Scienza, cattedratico trentino, non ha dubbi. Georgia, ex repubblica dell’Unione Sovietica, è il paese caucasico dove per la prima volta la vite ha visto sorgere la luce.
In altre parole la “culla” della viticoltura e dell’enologia soprattutto dopo la scoperta di quella che è considerata la più antica cantina del mondo.
Data di riferimento 8 mila anni fa. Ne parliamo per un progetto tecnico-scientifico che coinvolge Fondazione Edmund Mach San Michele all’Adige, una delle massime istituzioni europee in ambito agrario e vitivinicolo. Tblisi, pur contando su una famosa università di Viticoltura e un’ottima scuola professionale, ha chiesto all’Istituto trentino una collaborazione. Un progetto per attivare un percorso di studio per enotecnici già apprezzato in molte regioni del mondo. Un progetto che ha il fascino della storia e il sapore della modernità.

La Georgia caucasica vanta una storia vitivinicola millenaria. Già Omero nell’Odissea parlava dei vini profumati e frizzanti della Colchide (oggi Georgia occidentale).
Apollonio Rodio nelle “Argonautiche” racconta l’episodio legato ad una fontana ricolma di vino all’ombra di una vite che avrebbe dissetato gli argonauti di vino nelle adiacenze di un palazzo di Aieti (sempre nella Colchide). L’importanza della coltura della vite è messa in risalto anche dalla figura simbolo del cristianesimo in Georgia: Santa Nino.

La croce utilizzata dalla santa che convertì il re d’Iberia al cristianesimo nel 327 dopo Cristo, infatti, è fatta di tralci di vite, oggi simbolo della cristianità georgiana. La vite e la croce di Santa Nino sono presenti negli affreschi,  sui bassorilievi di centinaia di monasteri e chiese disseminate sul territorio georgiano.

Da millenni crocevia di popoli, incastonata nel Caucaso tra il Mar Nero e il Mar Caspio. La Georgia presenta una mappa composita dal punto di vista ampelografico, con quasi tutta la fascia centrale del Paese coltivata a vigne. Con una varietà di 525 vitigni indigeni – di cui solo una trentina utilizzati per la coltivazione –. La Georgia si può suddividere in una decina di aree: Abkhazia, Samegrelo, Guria, Adjara, Lechkhumi, Racha, Imereti, Meshketi, Kartli e Kakheti. Proprio quest’ultima regione, Kakheti, è il fulcro della produzione vinicola georgiana e per questo è chiamata la “terra del vino”.  

David Magradze, dell’università di Tbilisi, ritiene che secondo i recenti studi archeologici, l’addomesticazione della vite risalga nel Caucaso meridionale tra il VI ed il V millennio a.C. In pratica nello stesso periodo in cui avrebbe preso forma la Mesopotamia.
È in questa epoca ebbe inizio lo sviluppo nella parte centrale della regione transcaucasica della cultura di Shulaveri-Shomu, la più antica cultura del Neolitico nel Caucaso. E proprio a questo periodo risalgono alcuni semi di vite ritrovati in una cantina di Gadachrili Gora, villaggio neolitico
della Georgia ad una trentina di chilometri da Tbilisi. In questa cantina gli archeologi della Hebrew University of Jerusalem hanno trovato dei vasellami interrati nei pavimenti delle abitazioni. Alcune anfore decorate con dei grappoli, ma anche polline di vite e vinaccioli.

La più antica bevanda fermentata al mondo nota ai ricercatori, sorta di cocktail di riso, miele e frutta, realizzata in Cina circa 9 mila anni fa. Ma quello scoperto a Gadachrili Gora è indubbiamente il vino più antico. Supera di duemila anni anche il vino più antico d’Italia, le cui tracce sono state scoperte recentemente in giare recuperate in due siti siciliani.
Uno sul monte San Calogero a pochi chilometri da Sciacca, in provincia di Agrigento, e l’altro a San’Ippolito di Caltagirone, in provincia di Catania.

La Georgia è famosa nel mondo per un’antica tecnica di vinificazione: le anfore, enormi vasi di argilla, chiamati kvevris, ancora in uso tra i contadini per la fermentazione e l’affinamento del vino. Il kvevri viene sotterrato lasciando aperta solo la sommità, viene riempito con l’uva già schiacciata e non filtrata, quindi nell’anfora viene messo a fermentare.
Sia il mosto sia la vinaccia, pratica che rende i vini georgiani particolarmente tannici e di gradazione alcolica più alta di quella europea.

Una tecnica ancestrale che in Italia ha trovato proseliti in Friuli Venezia Giulia (Josko Gravner, pioniere degli “Orange wine”).
In Croazia (Marino Kabola Markezic) e in Trentino (Elisabetta Foradori).

Ai tempi dell’Unione Sovietica questa tradizione ha rischiato di scomparire. La Georgia, infatti, era diventata il vigneto dell’impero sovietico e per soddisfare la sete della Grande Madre Russia. Vennero costruiti enormi stabilimenti per produrre vini semidolci con l’aggiunta al mosto di acqua e zucchero. Oggi queste fabbriche arrugginiscono abbandonate ai lati delle strade. Per questo la Georgia guarda a noi per rinverdire con tecnologie moderne una tradizione millenaria. (GIUSEPPE CASAGRANDE)


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