EgNewsLa parola ai produttori

Al Castello Sonnino il Chianti viaggia al motto di “living history to sustain the future”

Una grande dimora storica nel cuore della toscana testimone del passato e ambasciatrice dell’innovazione

A dimostrazione che il vino in Italia sia componente integrante del patrimonio culturale lo dimostrano le innumerevoli Aziende o cantine che intrecciano le proprie vicende storiche con quelle dell’Italia.

La Toscana è uno dei territori dove questa relazione trova abbondante casistica, come per Castello Sonnino situata in quel di Montespertoli nelle immediate vicinanze di Firenze, sulle colline Chiantigiane tra Volterra e San Gimignano sul percorso che unisce Pisa e Livorno.

La tenuta è classificata come appartenente al gruppo delle dimore storiche italiane per via dei suoi contenuti architettonici e storico culturali, costituita da un palazzo del XVI secolo in cui si rintracciano elementi costruttivi medievali grazie alla torre fortificata risalente al XIII secolo.

Castello Sonnino è stata la residenza della famiglia  de Renzis Sonnino sin dai primi dell’Ottocento. ma anche la casa dello statista Sidney Sonnino durante la parabola della sua importante carriera politica. Le stanze dove abitò e sviluppò il suo lavoro sono conservate insieme all’archivio, recuperato nel 1967 e fonte incredibilmente preziosa di notizie e informazioni  dell’Italia di allora.

Ricchi carteggi di corrispondenze, progetti, studi economici e relazioni riguardanti la politica estera relativa ai tempi del primo conflitto mondiale, sono  completati dall’ampia biblioteca che raccoglie rare pubblicazioni internazionali dell’epoca.

Dal 1987 il barone Alessandro e la baronessa Caterina de Renzis Sonnino si sono occupati della cura del Castello insieme ai figli Virginia e Leone, assicurando tutte le opere necessarie alla perfetta conservazione del sito e nel contempo sviluppando un nuovo ed importante impulso nella produzione vitivinicola.

Nel segno della vocazione culturale di Castello Sonnino la famiglia ha dato il via alla fondazione “Castello Sonnino International Educational Center”, che accoglie studenti e ricercatori organizzando programmi di studio in collaborazione con le università americane e canadesi, volti ad approfondire lo sviluppo sostenibile delle aree rurali.

Un fattore di ricerca e conoscenza ambientale importante che assicura ai vini Chianti Montespertoli Docg, la più piccola denominazione del Chianti, una forte aderenza identitaria così come anche per l’olio prodotto in loco.

Filosofia perseguita sin da subito dal Barone Alessandro de Renzis che valorizzando le peculiarità dei suoli ha ampliato le varietà presenti nei  40 ettari di vigneto, affiancondo agli autoctoni quali Sangiovese e Canaiolo  vitigni quali Merlot, Petit Verdot, Syrah, Cabernet Sauvignon e Malbec.

Altro elemento fortemente identitario è senza dubbio la produzione di Vin Santo, eccellenza Italiana mai troppo valorizzata e prodotta da pochi, che Castello Sonnino porta ancora avanti rigorosamente secondo i metodi tradizionali nella splendida cantina storica. Su questo ed altro abbiamo avuto il piacere di raccogliere qualche opinione da Leone de Renzis Sonnino oggi alla guida dell’Azienda:

L’inizio dell’era moderna del Castello di Sonnino inizia nel 1987. Mentre il patrimonio storico culturale della dimora era stato conservato alla perfezione qual era il punto di partenza vitivinicolo e quale sono stati gli interventi agricoli strutturali principali per costruire la realtà di oggi?

L’azienda agricola era in condizioni accettabili ma principalmente strutturata per produrre masse non mirate alla qualità. Vasche molto grandi (250 HL) in vetroresina senza controllo delle temperature. Questa rappresentava la maggior parte delle strutture destinate alla vinificazione.

Detto ciò, cera anche una parte destinata alla produzione di vini più qualitativi. Quindi vasche più piccole (45/50 HL) in cemento, ideali per microvinificazioni, che mio padre ha recuperato nel tempo. Con l’aggiunta di barriques di legno francese neutro e botti grandi abbiamo reimpostato stilisticamente il tipo di produzione. Per quanto riguarda gli interventi agricoli, abbiamo ripreso le vigne con una coltivazione a guyot e cordone speronato. In oltre mio padre a portato vitigni come il merlot, petit verdot e cabernet frank con l’obbiettivo di arrivare a dei blend più qualitativi prendendo come esempio i vini bordolesi.

A proposito delle varietà internazionali che sin dall’inizio hanno affiancato gli autoctoni, quali sono stati criteri e metodologia che hanno guidato questa scelta?

Inizialmente l’obiettivo era quello di creare dei vini dal blend internazionale per diversificare la produzione ed andare incontro alle richieste di mercato

Non solo comprimari intorno al Sangiovese ma anche protagonisti, come nel  Sanleone in cui il protagonista è il Merlot. La qualità ottenuta da questo vitigno è stata una sorpresa oppure ve lo aspettavate sin dalla fase d’impianto delle vigne?

Il clone di Merlot scelto è un clone francese molto adatto al suolo in cui è stato impiantato, ricco di calcare che ne esalta l’eleganza. Il progetto nacque con l’idea di arrivare a fare un crue degno di essere riconosciuto come eccellenza su un panorama internazionale. L’obbiettivo era la qualità, seguendo lo stile bordolese che mio padre amava molto.

Il Sangiovese rimane comunque il grande attore principale. Vitigno di grande generosità e calore capace di rispondere al territorio in mille sfaccettature diverse. Secondo lei il suo potenziale si esprime già al massimo o la sua qualità può essere sviluppata ancora di più e come?

Non c’è limite al miglioramento, quindi è senz’altro possibile ottenere di più. In futuro prevediamo di fare delle microvinificazioni facendo un’ulteriore selezione in vigna; pratica che già effettuiamo. Le migliorie passano anche per un lavoro di cantina in fase di vinificazione che rispetti di più l’uva, questo si può ottenere attraverso follature manuali e travasi per gravità. Queste pratiche sono comunque sostenibili su piccoli lotti che poi verranno selezionati per formare un blend.

Se il Chianti è un mattone portante della tradizione vitivinicola Italiana il Vinsanto rappresenta una delle essenze di viticoltura di territorio. Vista la fatica che costa viene prodotto più per opportunità commerciale oppure per tenere vive le radici della propria tradizione?

Il vinsanto rappresenta per Castello Sonnino un pregio e una bandiera da poter esibire e che rende lustro alla nostra azienda. Le fatiche vengono ripagate dagli ottimi riconoscimenti ricevuti. L’alto rating ci permette di non svendere il prodotto e quindi di ottenere un beneficio commerciale ma sempre ricordando che si tratta di un vino di nicchia e di una produzione limitata.

Noi e pochi altri ormai preserviamo una tradizione secolare in modo etico, rispettando le vecchie usanze. Per noi l’appassimento delle uve è e rimarrà naturale, sfruttando la nostra vinsantaia che permette una perfetta areazione delle uve in appassimento e una maturazione in caratello che si giova delle escursioni termiche stagionali.

Un destino comune a quello del Marsala, eccellenze Italiane svalutate tra i banchi della GDO con prodotti a bassissimo costo che ne distruggono la reputazione soprattutto non ne sono rappresentativi. Come si può intervenire per impedirlo e rendere giustizia a queste unicità del nostro paese?

Si potrebbe intervenire sui disciplinari di produzione o anche sulla creazione di un marchio di tutela. Il Vinsanto del chianti DOC per esempio è fortemente penalizzato a livello di immagine dalla presenza del Vinsanto liquoroso con il quale non c’è alcuna parentela se non l’assonanza con il nome che scredita l’immagine del Vinsanto DOC che è un vino e non un vino liquoroso.

Il valore storico – culturale della tenuta, la scelta di eco sostenibilità ed i riconoscimenti ricevuti insieme alla scelta di fondare il “Castello Sonnino International Educational Center” sono certamente un grande biglietto da visita per la comunicazione dei valori e della filosofia dell’azienda. Quanto arriva di questo messaggio e quanto incide sui mercati nazionali ed internazionali per distinguersi nella grande proposta dei vini italiani?

La nostra filosofia, incarnata anche dal nostro motto “living history to sustain the future” è uno dei motivi per i quali riusciamo a formare relazioni strette e durature. Non avendo una produzione particolarmente esosa, possiamo fare una selezione dei partners con i quali decidiamo di collaborare. E questi quasi sempre apprezzano molto il nostro approccio di sostenibilità nell’agricoltura ma anche nel cercare di mantenere viva l’identità storica del luogo.

Gli studenti che partecipano ai nostri study abroad programs sono i migliori ambasciatori per poter parlare di Sonnino e di come la sana agricoltura possa avere una ricaduta positiva sul territorio. Credo che questo dia un valore aggiunto non indifferente e la cosa è molto apprezzata da chi viene a conoscenza della nostra realtà.

Se dovesse fare il viticoltore in un altro territorio dove le piacerebbe farlo e con quale vitigno?

Credo che sceglierei le langhe ed il nebbiolo.

Da appassionato di vini quali sono i vitigni che apprezza maggiormente nel bicchiere?

Sto attraversando una fase che mi vede focalizzato specialmente su i vitigni autoctoni delle mie terre. In particolare il Sangiovese per i rossi e il Trebbiano per i bianchi.

Se ne avesse il potere  quale sarebbe il provvedimento che metterebbe in atto per venire in aiuto al comparto vitivinicolo e all’agricoltura in generale?

In un mondo sempre più globalizzato puntare su vitigni autoctoni e vitigni autoctoni in via d’estinzione può fare la differenza. Il patrimonio vitivinicolo italiano è talmente superiore a quello di altri paesi produttori che una via di successo può essere di riscoprire varietà che sono in via d’estinzione per avere una chiave di successo su quelli che sono i paesi produttori emergenti che vinificano c’ho che gli è stato “portato” poiché non hanno storia e tradizione pari alle nostre.

Mentre per l’agricoltura credo che sia importantissimo l’introduzione di pratiche biologiche e tanta biodiversità. Vedere ettari e ettari di solo vite a discapito di altri tipi ti agricoltura ha un impatto negativo sugli ecosistemi della nostra campagna.

Bruno Fulco

 

 

 

 


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