Stile e Società

La rivincita dei vini rosati, grandi numeri e nuove opportunità per il vino italiano

Per anni è stato snobbato quasi fosse un prodotto diverso dal vino vero e proprio. E’ sempre stata una questione di bianco o rosso, poi c’era lui il rosato, guardato un po’ di traverso, come un figlio minore di Bacco, sfortunato e non meritevole di attenzione.

Ora però le cose stanno cambiando e in questi anni si assiste allo stravolgimento delle abitudini al consumo. Nel ritmo veloce di un cambiamento dettato sempre più dalle tendenze del momento, il rosato si sta prendendo la sua rivincita. Non sono solo parole ma fatti e questi, sono sempre sostenuti dai numeri.

Quelli che tira fuori l’indagine Coldiretti/Ixè non lasciano spazio al dubbio. Analizzando i dati Ismea infatti, appare chiaro come il vino rosato guadagni sempre più consensi. Il suo gradimento tra i consumatori relativo all’anno 2017 ha fatto registrare un aumento del 20,7%, un dato che parla da solo.

Certamente una bella rivincita sui suoi fratelli bianco e rosso, il primo nello stesso periodo è cresciuto solo del 3,9%, mentre l’altro del 2,1% e senza fare questioni di doc o docg. I fattori che hanno contribuito a questo balzo in avanti dei rosati sono diversi.

Uno di questi è senza dubbio il proliferare dell’Apericena. Termine orribile con il quale viene indicato qualcosa che non è ne l’uno ne l’altro, ma che riguarda il 59% degli italiani. Sicuramente molto comodo per chi preferisce proseguire la serata in modi diversi che non siano quello impegnativo di una cena completa, ma che di contro non sempre presentano una buona qualità.

A parte un certo numero di locali, in cui l’offerta del cibo è di livello sono molti quelli che rasentano la sufficienza, ed il vino generalmente segue la qualità degli appetizer proposti. Per fortuna resiste l’aperitivo classico, un simbolo del vivere bene Italiano e diffuso in tutto il mondo.

In questo caso la qualità si alza complessivamente e la proposta del vino è più qualificata, anche perché negli ultimi anni il luogo deputato a questo momento di relax e di piacere è spesso l’enoteca. Qui è possibile fare la conoscenza di vini rosati di estrema piacevolezza che ben si prestano all’occasione. Inoltre l’aperitivo è una pausa sempre più apprezzata dal mondo femminile, che manifesta una spiccata simpatia per il vino rosato, sia fermo che spumante.

Altro aspetto non indifferente per la scalata nelle scelte di consumo, è che i rosati italiani stanno migliorando decisamente anche nella tecnica di produzione. Fa la sua parte anche la comunicazione del vino, che nel tempo è riuscita ad abbattere l’errata ma radicata convinzione, che per produrre questi vini basta miscelare un bianco e un rosso. Pratica discutibile, ma adoperata a volte in passato da ristoratori e produttori poco illuminati.

Oggi dalla Valle d’Aosta alla Sicilia è possibile trovare vini rosati di qualità, non più prodotti dalle cantine solo per completare la gamma della propria offerta, ma con una loro precisa identità. Veneto Abruzzo e Puglia guidano la produzione del rosato italiano. In particolare quest’ultima, che nel Salento ha dato i natali al Five Roses di Leone De Castris da uve negramaro. Prodotto per le truppe americane nel 1943 e primo rosato italiano ad essere imbottigliato.

Certamente un’altra leva che favorisce il gradimento è la semplicità di approccio dei rosati, facilitata da una temperatura di servizio più fresca che li rende particolarmente piacevoli in estate. Dalla loro parte va anche la tendenza che pare stia premiando in generale, vini più “beverini” rispetto a quelli maggiormente strutturati e impegnativi.

Le vasta possibilità di impiego nell’abbinamento è un’altra freccia al suo arco e che spesso trae d’impaccio nella scelta. Le prerogative del rosato sono quindi molte e lasciano pensare ad un’ulteriore incremento di popolarità nei prossimi anni.

Speriamo che i produttori ne tengano conto e proseguano senza accontentarsi nella ricerca della qualità assoluta, avvicinandosi sempre di più a quelli Francesi che per il momento rimangono il modello di riferimento.

Bruno Fulco


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