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Tappo di sughero o tappo a vite?

Tappo di sughero o tappo a vite? Il confronto a Bergamo tra gli "Svitati" (Franz Haas, Pojer & Sandri, Graziano Prà, Silvio Jerman, Walter Massa),

Tappo di sughero o tappo a vite?

Il prof. Fulvio Mattivi (al centro) con la ricercatrice dott. Silvia Carlin

Il confronto a Bergamo tra gli “Svitati” (Franz Haas, Pojer & Sandri, Graziano Prà, Silvio Jerman, Walter Massa), i sommelier e i ricercatori. L’intervento del prof. Fulvio Mattivi della Fondazione Edmund Mach.

Tappo di sughero o tappo a vite?

Maria Luisa Manna, Mario Pojer, Graziano Prà. In piedi Walter Massa, Franz Haas e Silvio Jermann.

Ne abbiamo parlato più volte soprattutto dopo che molti operatori del settore, soprattutto australiani, amercani e sudafricani, per non parlare dei vignaioli austriaci e tedeschi, stanno abbandonando il tradizionale sughero per sposare la causa del tappo a vite.

Perché ci si chiede? La risposta sostengono in coro alcuni famosi produttori italiani che hanno fondato l’Associazione degli “Svitati” (Franz Haas, Pojer & Sandri, Graziano Prà, Silvio Jerman, Walter Massa) è semplice: il tappo a vite garantisce una più sicura conservazione del vino. E ciò vale non solo per i vini bianchi, ma anche per molti vini rossi.

Certo il fascino di stappare una bottiglia con la chiusura tradizionale è altra cosa. E così pure l’emozione nell’aprire con il tradizionale e beneaugurante «botto» uno Champagne o uno spumante metodo classico italiano. Ma ormai molte aziende, grazie anche alle nuove tecnologie, sono orientate verso il tappo a vite.

A Bergamo summit di produttori, sommelier e uomini di scienza

Mario Pojer (a destra) e Fiorentino Sandri, estimatori del tappo a vite fin dalla prima ora

Se ne è parlato nei giorni scorsi a Bergamo in occasione del summit tra produttori, sommelier e uomini di scienza promosso dalla Guala Closures, leader mondiale per la produzione di tappo a vite nel mondo, nella sede dell’azienda “Pentole Agnelli since 1907”.

Erano presenti, oltre agli “Svitati”, professionisti del mondo del vino: Oscar Mazzoleni (maitre e sommelier de Il Carroponte), Edgar Chaccha (head sommelier della Ciau del Tornavento), Matteo Montone (master sommelier e Group Wine director di Maison Estelle), accanto a Giancarlo Gariglio (curatore della guida Slowine), ai ricercatori Silvia Carlin e Fulvio Mattivi della Fondazione Edmund Mach, e agli esperti di normativa vitivinicola come Michele Fino, docente dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo.

La rivoluzione degli “Svitati”: dopo i vini bianchi ora il focus è sui rossi

Lo svitato Walter Massa, nume tutelare del Timorasso

“Dallo scorso anno ad oggi sono cambiate molte cose, la nostra rivoluzione si sta facendo sentire e siamo sempre più convinti che la scelta intrapresa sia quella giusta per i nostri vini” hanno dichiarato gli “Svitati” che condividono però la necessità di un ragionamento più ampio sul tappo a vite a livello, in particolare per quanto riguarda l’educazione e il racconto di questo tipo di chiusura al cliente finale.

“Il settore dei vini bianchi è ormai orientato – hanno aggiunto – verso l’utilizzo del tappo a vite. Ora è il momento di concentrarci anche sui vini rossi. Abbiamo visto che la tappatura cambia l’invecchiamento del vino e in questo senso il tappo a vite è una scelta stilistica che va rispettate e raccontata al cliente nel modo giusto.”

L’esempio di un Barolo col tappo a vite di una cantina di Serralunga d’Alba

Il ricercatore trentino prof. Fulvio Mattivi della Fondazione Edmund Mach

Accanto alle cinque aziende dell’Associazione “Gli Svitati” era presente anche la cantina Ettore Germano di Serralunga d’Alba, tra le poche in Italia a produrre da alcuni anni un Barolo imbottigliato con tappo a vite, su cui sta portando avanti diverse sperimentazioni.

Secondo i sommelier, mentre a livello internazionale il tappo a vite è ormai sdoganato e l’attenzione viene posta solamente alla qualità del vino proposto, come ha spiegato Matteo Montone, con particolare riferimento al Regno Unito, è ancora molto forte il tradizionalismo italiano.

“Non possiamo più parlare solo di romanticismo nell’atto dell’apertura della bottiglia, la figura del sommelier non è solo questo, ma deve guardare alla qualità di ciò che propone.

La rivoluzione parte dalle aziende, ma passa attraverso di noi per arrivare al cliente finale: se il tappo a vite conserva in modo migliore il vino nella modalità in cui lo ha inteso il produttore, è necessario andare in questa direzione” hanno commentano i sommelier. 

La degustazione comparata di cinque etichette: sorprendenti i risultati

Il mitico Graziano Prà, lo svitato di Monteforte d’Alpone (Soave)

Accanto alla presentazione al cliente finale, nel corso dell’incontro si è dibattuto sulla tematica dei disciplinari di produzione. I

Consorzi sono gli unici enti che hanno la possibilità di applicare le regole già in vigore a livello di Comunità Europea in merito al tappo a vite, che renderebbe più facile ai produttori l’utilizzo discrezionale di questa chiusura anche per vini Doc e Docg. 

Sul tavolo, anche i risultati di uno studio comparativo delle vecchie annate dei vini degli “Svitati” tra tappo in sughero e tappo a vite, illustrati dalla dottoressa Silvia Carlin e dal professor Fulvio Mattivi della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige.

Cinque le etichette prese in analisi per la degustazione comparativa: il Soave Doc “Otto” 2010 di Graziano Prà, il Sauvignon Dolomiti 2007 di Pojer e Sandri, il “Vintage Tunina” Venezia Giulia Bianco Igt 2013 di Jermann, il Pinot Nero “Schweizer” 2015 di Franz Haas e la Barbera “Monleale” 2016 di Walter Massa.

Il prof. Fulvio Mattivi: “Prova superata anche nei lunghi invecchiamenti”

“I risultati analitici permettono di evidenziare che tutte le coppie di vini portati in degustazione, affinati in condizioni identiche, ma confezionati con le due diverse chiusure – ha spiegato Silvia Carlin – hanno cambiato la loro composizione in seguito all’ingresso di livelli diversi di ossigeno: in particolare, i vini tappati in sughero presentavano una quantità maggiore di aldeidi come il metionale (un composto con note vegetali, da patata bollita), metilbutanale (con note erbacee) e fenilacetaldeide (con note di miele), che derivano da reazioni di ossidazione.”

A sua volta il prof. Fulvio Mattivi che ha analizzato alcuni campioni sperimentali dell’azienda piemontese Vigneti Massa di Tortona, in particolare 20 bottiglie di Timorasso 2017 (imbottigliate a corona, Nomacorc reserva, sughero, vite) e 16 bottiglie di Timorasso del 2018 (imbottigliate con Diam 10, Nomacorc reserva, vite) ha precisato che è sbagliato ritenere che le chiusure tecniche con basso Otr (Oxygen Transmission Rate) vadano bene solo per i vini giovani. Viceversa è dimostrato che le differenze tra le diverse chiusure diventano più evidenti nei lunghi invecchiamenti.

Le diverse chiusure si riflettono sul profilo aromatico e sensoriale dei vini

“Questo studio – ha aggiunto il prof. Mattivi – ha dimostrato che le differenze di prestazione tra le diverse chiusure tecniche si riflettono in maniera evidente dal punto di vista chimico analitico sul profilo aromatico dei vini e, nel caso di differenze di ingresso di ossigeno importanti, anche sul profilo sensoriale. Sta quindi all’enologo, in una ottica di enologia di precisione, scegliere l’abbinamento tappo/chiusura in funzione delle caratteristiche del vino, della lunghezza dell’affinamento previsto in bottiglia, assecondando lo stile evolutivo desiderato.”

Il tappo a vite è anche una scelta responsabile di sostenibilità ambientale

Michele Fino, professore dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, ha portato alla luce una riflessione più ampia giocando sul tema della “chiusura”: non solo come tappatura del vino, ma anche ideologica, che impedisce di pensare ai problemi dell’innovazione in ambito vitivinicolo. “Il problema di impostazione è l’idea che una chiusura determini il prestigio di una denominazione. In tempi di attenzione crescente per la sostenibilità, non dovrebbe essere preferita come reputazionalmente migliore la soluzione che impatta di meno in termini di costi energetici e di riciclabilità? Con quale diritto si stabilisce che il tappo a vite pregiudica la reputazione mentre usare una bottiglia di vetro da 800 grammi per un vino fermo no?”. 

Ed anche gli studi di Nomisma, riportati da Emanuele di Faustino, fanno emergere un consumatore sempre più attento al packaging eco-sostenibile: “Tra gli aspetti positivi riconosciuti dal cliente finale al tappo a vite, l’attenzione all’ambiente risulta essere fondamentale, così come la sua facilità d’uso.”

“Le chiusure in alluminio – ha concluso Federico Donato della Guala Closures – rappresentano una scelta responsabile di sostenibilità. Nel 2010 siamo stati i primi nel settore ad introdurre strategie e obiettivi per costruire un Gruppo capace di innovare e di preservare il nostro mondo.”

In alto i calici. Prosit! (GIUSEPPE CASAGRANDE)


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