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Quel Natale friulano del 1950

C’era un grande “fogolar” in mattoni nella “rotonda” in fondo al soggiorno. Sopra una cappa enorme quanto la stufa, in rame lo scalda acqua, in ottone i pomelli degli sportelli.

Il fuoco era sempre acceso e per non farlo spegnere la zia Pupi infilava nella porticina nera col pommellone lucido i “cigons” delle pannocchie, mentre il prezioso granturco color oro o bianco-perla veniva macinato al mulino e trasformato in farina gialla o bianca per la polenta.

Vicino vi era un grande tavolo e una cassapanca dove i bambini sedevano in attesa. In attesa chissà di che cosa.

Di lato un lavello scavato nella pietra rosa e sopra i ganci appesi alla parete per sostenere i secchi di rame per l’acqua.

A quei tempi non c’era l’acqua potabile in casa dei nonni, ma si andava col “bigol” a riempire i secchi alla fontana del paese, Maniago, la città dei coltellinai e dei mosaicisti.

Tutti si rifornivano d’acqua alla fontana, mentre le persone che portavano il latte al caseificio “Turnario” lavavano le “gamelle” e le riempivano di acqua fresca per non rientrare a casa vuoti, ma con un prezioso tesoro.

La cucina “rotonda” era separata dal grande soggiorno, dove si pranzava, da una veranda di legno. Sui vetri vi erano le tendine di pizzo all’uncinetto ormai ingiallite non per l’ingiuria del tempo, ma perché venivano colorate con il tè.

Il legno era dipinto di un verde azzurro come il battiscopa che circondava la stanza, alto settanta centimetri, eguale ad un quadro di Velasquez. Anche il porta spazzole era stato immerso e colorato con il tè.

C’erano poi due vetrine e un tavolo enorme che padroneggiava nel mezzo e due cassapanche ai lati.
Le vetrine e tutti i mobili con le sedie Tonnè erano arrivate da Berlino, all’inizio del XX secolo, dove il nonno Piazza aveva aperto la sua impresa di mosaici.

Anche i pavimenti del soggiorno erano in mosaico. Al di sopra della credenza una parete con le ceramiche di Meissen.

Per entrare in casa si doveva varcare un cancello di legno e un cortile dove cresceva il calicantus e una pianta di fichi.
Sul muretto di sasso crescevano i capperi.

Qui avvertivo il profumo della pietra, dell’erba secca e l’umido della terra che ancora sento nella mente e nell’anima.

Nella mia collezione di odori percepisco ancora, marcato, l’odore di quella cucinetta e di quella “rotonda” in modo intenso come intenso era il profumo della polenta che veniva “girata” nel paiolo dalla zia Maria.

Ricordo che ad un tratto entrano le amiche di mamma, non so quante, ma mi parevano tante.

Il vocio diventava quasi assordante e vibrava nell’aria piena di vapore che mi sembrava quasi una nebbia fitta fitta.
I vetri erano appannati ed io potevo scarabocchiarli.

I visi delle signore avvolti in grandi fazzoletti dai fiori vivaci e sulle spalle grandi sciarpe di lana bouclé. Sorridono. Poi la mamma mi siede sulla tavola e le signore mi fanno vedere un paio di orecchini d’oro.

Io non sapevo a che cosa servissero. Era un regalo. Un grande regalo. Orecchini d’oro.
Poi con un tappo di sughero una donna mi fora l’orecchio. Piango, a questo punto mia madre mi prende in braccio, mi coccola e mi consola.

Appoggiata la testa sul suo petto, mi addormentai. Ricordo che anche quando avevo mal di denti la mamma mi prendeva in braccio e come per miracolo tutto svaniva.

Il suo abbraccio mi riempiva del mondo intero. Avevo due anni suppergiù, forse è il primo ricordo della mia vita, di certo il più intenso. Anch’io avevo agli orecchi i gingilli come mamma e come le zie.

Quel giorno era la vigilia di Natale e nella sala un alberello, un abete raccolto in Val Piccola, nei boschi sopra Maniago, aspettava di essere vestito.
Ricordi.
Ricordi a volte un po’ sbiaditi, ma veri e cari.

Da una scatola di latta ecco apparire sul tavolo delle palline di stoffa, anzi di seta rosa con ricami dorati e veli colorati.

Appartenevano al primo albero di Natale allestito (era il lontano 1906) nel paese di Maniago dalla nonna Anna con gli addobbi arrivati dalla Germania.

Molte persone, sparsasi la voce in paese, accorsero a vedere quest’albero addobbato. Gli addobbi erano di vetro soffiato e di stoffa liscia al tatto e così delicati che mamma mi vietava di toccarli.

Che sorpresa, che meraviglia. Che gioia. Era il mio Natale del 1950. Chi potrà mai cancellare questi ricordi?
E tu mamma lo ricordi?
Quanto amore in quei momenti.
Lo so, lo sento, tu sei sempre con me.

Anche molti anni dopo quando mi sono risvegliata in ospedale in seguito ad un delicato intervento chirurgico tu eri lì, vicina al mio letto, ancora col grembiule, mi guardavi e mi sorridevi.

Avevi fretta di venire, di non lasciarmi sola. Ecco perché portavi ancora il grembiule. Poi sei ritornata lassù tra gli angeli del Paradiso.
Forse Gesù ti aveva dato un permesso speciale?
Mamma è sempre Natale con te.
Ti auguro di amare sempre ciò che va amato, dimenticare quel che va dimenticato, di esserci sempre accanto, tu che vivi nella Luce, tu che sai già ciò che c’è.

E salutami il papà, se lo vedi, e dai una carezza al mio fratellino Bruno che ci ha lasciati troppo, troppo presto. Auguri di Buon Natale, mamma.

Anna Maria Grazi

Anna Maria Grazi, nata a Ferrara sotto il segno dello Scorpione, insegnante e pittrice, sposata con due figli, vive con il marito a Villazzano, quartiere residenziale sulla collina di Trento.


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