Curiosità

«‘Ndemo al bagno. Indove? Al Pedocin, po»

Si riapre la stagione balneare in tutta l’Italia, grazie alle insistenze dei gestori degli stabilimenti e di tutti gli Italiani che al mare non vogliono rinunciare, anche per risollevare le capacità del proprio sistema immunitario depresso da mesi di clausura.

Alla fine, giustamente, si è arrivati a capire che le nostre spiagge sono le più ambite dai turisti stranieri, che le conoscono bene.
Sono più che adeguate le misure di sicurezza sanitaria già predisposte l’anno scorso. E poi con tutti i vaccinati nel mondo cosa c’è da temere?

Anche Trieste può annoverarsi tra le città “balneari”.
Pur essendo un porto, ha anche degli stabilimenti, e due pure quasi in centro, uno attaccato all’altro, uno classico, un po’ “snob”, un po’ “chic”, l’altro assolutamente “popolare”, per tutti.

Quest’ultimo è il più curioso. Curioso per gli altri, i “foresti”, non per i cittadini, ed ormai entrato nel circuito dell’informazione turistica internazionale, tanto che vi hanno ambientato pure il film “L’ultima spiaggia”, presentato a Cannes nel 2016.
Uno stabilimento gestito dal Comune di Trieste, quasi gratuito, con biglietto d’ingresso a prezzo simbolico di 1 euro, un minimo contributo per le spese di manutenzione.

Il motivo della curiosità è per molti sconcertante. Tutto è dovuto ad un muro.
Corre il rischio di politicamente scorretto in quanto sessualmente discriminatorio, se i fanatici del “genere unico” si mettessero a fare una battaglia di pregiudizio.
Migliaia sono state le firme raccolte in città contro la proposta di abbatterlo. E risulta che le donne stesse siano state in maggioranza nel sondaggio; il desiderio di assoluta autonomia ha prevalso, specie da quando si è diffusa la moda di stare distese al sole senza la parte superiore del bikini. Moda che ha contagiato anche le signore ultra “anta”.

La caratteristica, infatti, che distingue questo stabilimento rispetto ad altri, consiste nel muro che divide la spiaggetta sassosa in due zone, accessibili da due ingressi separati: da un lato per i maschi, dai 13 anni in su, dall’altra per le femmine (e bambini maschi fino a 12 anni).

Il muro, alto 3 metri ed esteso fin dentro il mare, costruito in calcestruzzo negli anni ‘30 al posto della precedente struttura in legno, fa di questo stabilimento balneare un “unicum” non solo in Italia, ma anche nel mondo (tranne in quello islamico, per i motivi di intransigenza religiosa). Pare risulti solo in Francia uno uguale.

Risale alla fine del 1800 la storia di questo stabilimento comunale, aperto alla cittadinanza, inizialmente chiamato “Bagno alla Lanterna”, a causa del faro marittimo nei pressi.
“El Pedocìn” per tutti.

Il nome è altrettanto degno di curiosità.
Narra la storia che verso i primi decenni del Novecento, la spiaggia venne requisita dall’esercito austriaco per soddisfare l’igiene dei propri soldati, dato che i veri “bagni”, annessi a rinomati hotel o galleggianti e ancorati in mare aperto, erano riservati ai benestanti che si potevano permettere l’accesso.
I soldati, così, lavandosi si “igienizzavano” e si potevano spidocchiare. “Pedocìn” è infatti un diminutivo dialettale di “pedocio”, ovvero pidocchio.

Il Pedocìn, nella storia più moderna, è il bagno di cittadini di diverse categorie e di tutte le età, frequentato in orari diversi a seconda delle loro specificità. Non pochi frequentatori sono utenti dello stabilimento da tutta la loro vita e, pertanto, si conoscono tra di loro e formano combriccole, gruppetti di “socialità”.

Da un lato i maschi, pensionati per lo più, presenti fin dall’orario di apertura al mattino o verso il tramonto. Un “tocio” e via (tociarse = bagnarsi in mare, in triestino si usa dire così per dire una breve rinfrescata in acqua); e appena asciutti si va a casa o ci si mette ai tavolini con i compagni a fare una partitina di carte o a discutere di ciò che «Il Piccolo», il quotidiano triestino riporta sulla politica o sui fatti cittadini.

Dall’altro lato le donne di tutte le età, patite dell’abbronzatura, mamme con bambini, nonne con nipotini, sempre nelle ore del mattino, e magari anche tutto il giorno chi non ha un marito che attenda la cuoca per sfamarsi. Nelle ore di pausa pranzo, arrivano le donne più giovani, commesse e impiegate o studentesse, e stendono l’asciugamano in ogni rettangolo di spazio che sia possibile, a rischio di avere sopra alla nuca i piedi altrui, tanta è la ressa.

La chiusura dello stabilimento causato dalle rigide misure governative fin dall’anno scorso, ha sollevato non poche proteste, perché rompeva anche l’abitudine a recarvisi d’inverno, purché splendesse il sole in cielo.
Nei tempi migliori del passato, gli incassi per il Comune hanno fatto registrare picchi di oltre 2 mila bagnanti al giorno.

Ultima curiosità: è tipico dei Triestini dire “Vado al bagno” per dire che si va al mare, anche solo a prendere il sole, senza andare in acqua.

Maura Sacher


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