Stile e Società

L’economia del superfluo

“Superfluo” per definizione è l’eccedente al bisogno, l’eccessivo, quello di cui si può fare a meno senza che ne risenta il nostro stato di benessere fisico e materiale, quindi rappresenta il non necessario, l’inutile rispetto all’essenziale, al basilare, al vitale.

La sperequazione tra chi può permettersi dei lussi e chi non ha nemmeno l’essenziale ci induce a riflettere su quelle apparenze di cui si può fare a meno.

Gli indigenti sono in aumento, quelli che a cinquant’anni vengono licenziati, quelli che a sessanta perdono la casa per debiti, persone malate e invalide che non hanno assistenza e quelle che non possono vivere con una pensione di 400 euro al mese.
La gran parte della gente non crede alla ripresa dell’economia nazionale, ascoltando i numeri divulgati dai portavoce del Governo né i dati che la stampa allineata al regime estrapola dai bollettini ISTAT. Specialmente gli addetti ai vari settori economici, dal commercio all’industria all’agricoltura, non confidano ciecamente nelle notizie diffuse dai vari gruppi di ricerca che tendono a far vedere il lato migliore della situazione, come fosse il bene in assoluto, salvifico.
I giovani ventenni/trentenni, poi, nemmeno ascoltano queste notizie, si sono auto vaccinati contro le illusioni, per loro la ripresa economica del Paese sarà concreta quando tutti loro avranno un lavoro stabile, mentre oggi vivono alla giornata e con il minimo necessario.

Chi, allora, possiede il superfluo?
Facile pensare all’abbondanza pecuniaria di chi gode di pensioni “d’oro”, alla casta dei privilegiati politici, ai grandi dirigenti e amministratori di aziende (dalle fabbriche alle banche), alla casta dei manager che vengono liquidati a suon di milioni di euro, e perché non ci mettiamo pure i calciatori delle grandi squadre e anche quei giornalisti/artisti che un’emittente televisiva premia con i soldi dei contribuenti? Forse i personaggi di tutti questi mondi possiedono un palato ed uno stomaco superiori alla media della popolazione italiana, e hanno necessità di usare il più possibile delle loro entrate per nutrirsi?
A me, inoltre vengono in mente anche quegli imprenditori che investono in borsa i guadagni che avanzano e per mantenere alte le azioni piuttosto licenziano i dipendenti, come se il “superfluo” fossero loro, numeri invece di persone con famiglie.

Infine, in un’economia del superfluo, pensiamo al cibo, per millenni considerato “dono della Provvidenza”, di cui quasi tutti noi riempiamo la dispensa e il frigorifero per dopo far finire nella spazzatura più di ¼ della spesa mensile, pari ad un costo di oltre 1500 euro all’anno per ogni famiglia: credo debba mordere la coscienza per gli sprechi che ne facciamo, mentre tanti cittadini italiani rovistano nei cassonetti davanti ai supermercati o nei pressi dei ristoranti.

Riconoscere il superfluo e sapervi rinunciare sarebbe già un grande passo, non dico per guadagnarsi il Paradiso, ma almeno per avere una “coscienza sociale”, che induca ad immedesimarsi in certi valori superiori al meschino individualismo, e anche perché “Il sudario non ha tasche”, come disse Papa Francesco.

Maura Sacher


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