La festa di San Martino, le oche e il vino.
Qualche anno fa, proprio in questi giorni di novembre, ero in Francia, a Tours, per la precisione, ultima tappa di un itinerario turistico enogastronomico tra le cantine e i castelli della Loira.
Qui nel IV secolo dopo Cristo visse il vescovo Martino di Tours che dalla natia Pannonia, regione dell’Impero Romano, fu spedito in Gallia come soldato.
Missione che gli cambiò la vita.
Secondo la tradizione infatti, durante una ronda a cavallo, egli notò un mendicante che tremava per il freddo.
Mosso a pietà, Martino tagliò il suo mantello a metà e lo condivise con il pover’uomo.
Quella stessa notte gli comparve in sogno Gesù.
Dopo questo episodio Martino, che non era battezzato, abbracciò la fede cristiana, lasciò l’esercito e si dedicò alla vita monastica convincendo molti pagani alla conversione.
Nel 371 fu nominato vescovo di Tours.
La festa di San Martino, le oche e il vino
Morirà in odore di santità l’8 novembre del 397, ma fu sepolto tre giorni dopo.
Ecco perchè viene festeggiato l’11 novembre. Una festa che si celebra in molti paesi europei e che unisce la liturgia cristiana alla tradizione contadina. Una tradizione molto sentita, legata al vino e che ispirò Giosuè Carducci a comporre una delle sue poesie più famose: “San Martino” appunto. “La nebbia agli irti colli piovigginando sale e sotto il maestrale urla e biancheggia il mar, ma per le vie del borgo dal ribollir de’ tini va l’aspro odor de i vini l’anime a rallegrar”.
L’11 novembre è anche conosciuta come l’«Istadela de San Martin» poiché di solito in quei giorni il clima ci regala delle giornate miti e soleggiate, quasi estive, come era capitato a me percorrendo in bicicletta la ciclabile della Loira prima di tuffarmi in uno dei peccaminosi ristorantini e brasserie del centro storico di Tours. Anche in Francia nei giorni di San Martino l’oca è una delle pietanze più gettonate con, manco a dirlo, sua maestà il «foie gras» che la fa da padrone.
In Italia la tradizione dell’oca è quanto mai sentita in Friuli, nelle campagne lombarde, in Emilia e soprattutto in Veneto. Sul Montello, a due passi da Bassano del Grappa, è tradizione mangiare l’oca proprio l’11 novembre accompagnandola con dei vini rossi locali di taglio bordolese. Perchè proprio bordolesi e che legame c’è tra queste tradizioni? A queste e ad altre domande risponde l’ebook «Che cosa ci fanno le oche tra le vigne dei Vini del Montello?»
La festa di San Martino, le oche e il vino
La pubblicazione, curata dal giornalista enogastronomico Angelo Peretti, illustra il motivo per cui la zona di produzione dei Vini del Montello, piccola e affascinante area ai piedi del monte Grappa e delle Dolomiti venete, possa di fatto definirsi a pieno titolo una enclave bordolese in provincia di Treviso. L’ebook, disponibile gratuitamente sul sito vinimontello.it, indaga sulle ragioni che uniscono il culto di San Martino, l’oca e i vini che nascono sul Montello e sui Colli Asolani.
Uno dei «fil rouge» che unisce queste zone del Veneto alla Francia e alle usanze celtiche riguarda l’utilizzo dell’oca a tavola. Anticamente in Veneto l’oca veniva allevata come animale da cortile e consumata tra l’11 e il 25 novembre (Santa Caterina, giorno in cui vengono aperte le fosse di stagionatura dei formaggi), periodo dedicato al culto dei morti. I giorni compresi tra queste due date coincidono con il «Samuin», ricorrenza celtica in cui si venerava il messaggero dell’altro Mondo, un cavaliere straordinariamente somigliante al San Martino cristiano, che come animale simbolo aveva proprio l’oca. L’immagine tramandata del vescovo di Tours, anch’esso con un’oca sempre accanto e al quale sono dedicati numerose chiese e oratori nel territorio del Montello, altro non sarebbe quindi che la trasposizione del dio della morte pagano.
Nella zona di produzione del Montello docg e Montello Asolo doc, un luogo che ha straordinarie testimonianze di remoti culti celtici, si fanno dei vini rossi con le uve francesi provenienti da un’altra area, Bordeaux, di radicata tradizione celtica. Qui i vitigni bordolesi (Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Merlot e Carmenère), arrivati in terra veneta a metà dell’Ottocento, hanno trovato un terreno particolarmente fertile, anche culturalmente. Le colline composte da rocce conglomerate tra di loro e ricoperte da suolo marnoso-argilloso o marnoso-sabbioso dalla tipica colorazione rossa, assieme a un clima temperato e alla circolazione idrica sotterranea, hanno permesso ai vitigni bordolesi di acclimatarsi in queste terre. Grazie anche alle componenti ferrose del suolo che conferiscono struttura e alla roccia arenaria che conferisceminersalità, i Vini del Montello assumono una loro identità ben precisa, fatta di territorialità e di potenza.
La festa di San Martino, le oche e il vino
La pubblicazione racconta lo sviluppo di questa realtà locale, illustrandolo attraverso numerosi aneddoti della tradizione popolare e curiose citazioni letterarie, dimostrando così come il territorio dei Vini del Montello sia testimone del rapporto che lega vino, cibo e sacralità in tutte le culture.
Sempre in occasione della ricorrenza di San Martino a Venezia viene preparato il tradizionale dolce di San Martino: con la pasta frolla viene modellata la forma del santo a cavallo con spada e mantello, guarnito con glassa di zucchero colorata, praline, caramelle e cioccolatini. Più anticamente veniva preparata la cotognata preparata con la marmellata di mele cotogne a forma di moneta: medaglioni che presentavano un disegno del santo. Tali medaglioni erano adornati con un fiocco rosso.
In Trentino il rito dell’11 novembre un tempo era legato ai primi assaggi di vino nuovo da abbinare alle caldarroste. Più recente è la tradizione di onorare il santo con il panettone. Un’idea di Walter Tomio (Pasticceria Exquisita di Rovereto) e Carmelo Grigoletti (Azienda agricola di Nomi). L’uva sultanina usata nell’impasto del panettone viene messa in ammollo nel vino passito “San Martim” di Grigoletti per alcuni giorni, il che conferisce al prodotto un gusto davvero peccaminoso. Il “San Martim” (rigorosamente con la “emme” finale, tipica del dialetto roveretano e della Vallagarina) si ottiene dalla vendemmia tardiva di uve bianche raccolte a novembre sulle colline di Nomi, quando le viti sono già spoglie. Risultato: una straordinaria concentrazione di zuccheri, profumi suadenti, un’esplosione di frutta tropicale in bocca.
Tipico vino da meditazione, è ideale per accompagnare la piccola pasticceria, la torta de fregoloti, i dolcetti a base di mandorle e i formaggi erborinati. In alto i calici.
(GIUSEPPE CASAGRANDE)
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