Vino e Ristoranti

Kardanakhi 1888 perle enoiche dal Caucaso

Nel panorama Georgiano delle produzioni in qvevri i vini dell’Azienda del Kakheti regalano grandi emozioni

La fase uno relativa all’ingresso in scena dei vini georgiani è ormai conclusa. Ogni appassionato oggi anche se non ha approfondito il tema più di tanto sa bene di cosa si parla, tanto è vero che non è più necessaria l’introduzione esplicativa sulla loro origine e sull’importanza storica delle loro vinificazioni in anfora (qvevri), che comunque è sempre disponibile qui .

Quelli che hanno approfondito la tematica per lo più sono rimasti affascinati da questo genere di vini unici nel loro genere. Per quelli che non li hanno apprezzati pienamente, a parte le questioni personali di gusto che non possono essere messe in discussione in nessuna maniera, c’è anche il fattore della scarsa reperibilità.

La loro presenza sugli scaffali delle enoteche è infatti ancora troppo bassa, e forse non si è avuta la fortuna di incontrare referenze in grado di rappresentare degnamente i livelli elevati di questa viticoltura. Tra quelli di altissimo livello reperibili oggi sul mercato italiano troviamo alcune etichette dell’Azienda “Kardanakhi 1888”. Una storia relativamente giovane rispetto alla tradizione millenaria della Georgia, ma che dalla fondazione datata solo 2014 produce vini veramente rappresentativi di questo movimento enoico.

L’Azienda prende il nome dal villaggio di Kardanakhi dove è situata, in pieno Kakheti la regione vinicola più vocata della Georgia. L’ambiente naturale è quello della valle in cui scorre il fiume Alazani, con le montagne del Caucaso a nord-ovest e la capitale, Tbilisi a sud-ovest distante 110 chilometri circa.

L’estensione del vigneto è di circa 16 ettari disteso ad un’altitudine che varia dai 350 ai 500 m.l.s. e comprende sia varietà autoctone che internazionali. Tra le circa 30 referenze prodotte da Kardanakhi 1888 molti ricadono nelle tre Dop locali: Kardanakhi, Tsarapi, Akhoebi.

Per le vinificazioni vengono utilizzati sia il sistema tradizionale in anfora che la vinificazione cosiddetta “europea”, come vengono chiamate dai viticoltori locali le normali vinificazioni in bianco e in rosso in uso da noi.

Per quanto riguarda il qvevri, la pratica adottata è quella kakhetiana che prevede l’utilizzo del grappolo integrale con bucce, raspi e vinaccioli nel contenuto, che viene lasciato fermentare fino alla primavera successiva.

Tra gli eccellenti rappresentanti di questa pratica c’è senz’altro il Mitsvane 2020 prodotto dall’autoctono omonimo, che si presenta di colore ambra scuro aprendosi al naso su note predominanti di frutta secca e di albicocca disidratata, che introducono al miele per poi lasciare il passo a note di spezie dolci. In bocca si riaggancia a questi ultimi sentori per esprimersi su note che richiamano radici ed erbe essiccate. Il sorso è di spessore e grande equilibrio arricchito dalla gradevole presenza tannica. Vino di grandissima classe ed esempio di cosa deve essere un vino georgiano in qvevri di altissimo livello.

Altro grande rappresentante della categoria è fuor di dubbio il Khikhwi 2020 anch’esso da vitigno autoctono  che, sebbene non filtrato come il precedente, induce al dubbio all’apertura della bottiglia mettendo in crisi le nostre certezze in fatto di colore, salvo poi cancellare ogni perplessità appena si porta al naso il bicchiere come sempre accade con questi vini.

Qui il profilo olfattivo apre su toni prevalenti di erbe medicinali, aromatiche essiccate e spezie orientali, lasciando ad un secondo momento le note della frutta disidratata, della noce appena pronta e quelle più dolci del dattero e del miele. Il sorso è ricco e di grande gusto, attacco morbido e grande equilibrio, incorniciato da una quota tannica di grande piacevolezza che si allunga in persistenza.

Se il primo è da considerarsi un ambasciatore della viticoltura tradizionale georgiana nel mondo, portando al naso quest’ultimo è possibile ritrovare immediatamente l’essenza autentica della Georgia con i profumi e i sapori tipici della sua anima rurale.

Bruno Fulco

 

 

 

 

 

 


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