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Approccio non esaustivo alla Georgia del vino

Visitare un paese specie se non introdotto tra le mete più gettonate del pianeta, necessita sicuramente di un approfondimento preventivo per capire cosa ci si potrà aspettare. La Georgia di anno in anno vede aumentare costantemente il numero dei suoi visitatori, rimanendo comunque ben lontana dall’essere un paese oggetto del turismo di massa.

Già questo a detta di molti è un ottimo motivo per prendere in considerazione una visita nel paese che si estende ai piedi della regione Caucasica, anche se avvicinandosi alla sua cultura sono ben altri poi i motivi che la determinano. Come tutti i viaggi rimane comunque una scelta personale, ma in questo caso ancor di più.

La Georgia non brilla per effetti speciali, nel senso che non si spara tutte le sue carte in un paio di monumenti ad effetto davanti a cui fare la fila per portarsi a casa il selfie o la foto dell’estate. È un Paese a rilascio lento, che piano piano sa entrare in contatto con chi ne vuole scoprire l’essenza, attraverso le sue architetture monastiche di scuola ortodossa mirabilmente affrescate e uniche al mondo, la natura mozzafiato dai paesaggi surreali come le torri dello Svaneti o la riserva naturale del Tusheti, paradisi per escursionisti, trekker o semplici passeggiatori.

Tra le motivazioni di un viaggio in Georgia ci sono sicuramente il vino con la sua cultura e per un appassionato solamente questo può valere il viaggio. Ciò non si traduce solamente in visite in cantina e innumerevoli assaggi, ma nel calarsi completamente in una dimensione enoica forse unica al mondo. E’ ormai risaputo che l’origine delle pratiche vitivinicole è da rintracciarsi 6 – 8000 anni fa nella regione caucasica e, ritrovamenti archeologici a parte, non si fa affatto fatica a crederlo.

La vite e il vino rappresentano in Georgia qualcosa che pervade il tessuto sociale, culturale e religioso del paese fino a costituirne, insieme alla religione ortodossa, la chiave della propria identità fortemente nazionalista. Termine in cui qui non è possibile rintracciare nessuna connotazione negativa e vissuto nel segno della passione e dell’orgoglio per la propria terra.

Probabilmente, fatti salvi eventuali motivi di salute, non c’è un solo georgiano che non apprezzi il vino. In qualsiasi punto ci si trovi è quasi impossibile non scorgere a vista d’occhio una vite. Ovunque c’è almeno una pergola che ingentilisce anche gli spazi urbani della giovane e dinamica Tbilisi, dove ci sono tante enoteche quante pizzerie al taglio a Roma e dove per le vie del centro si vende il gelato all’uva, quello si forse un po’ turistico anche se piacevole.

Non come la Churchkhela però, caramella a forma di salsicciotto formata da gherigli di noce attraversati da un filo e ricoperti da succo d’uva bollito insieme alla farina, icona della capacità contadina di valorizzare ogni dono della terra. In chiave moderna invece, gli integratori all’uva dimostrano la volontà di sfruttare al massimo una delle risorse più generose.

I riferimenti alla vite sono presenti ovunque anche nelle rappresentazioni religiose. La croce di Santa Nino, patrona della Georgia è fatta di tralci di vite, così come nella città rupestre di Vardzia sul leggio della cappella scavata nella roccia, sono incisi grappoli d’uva. Le strade che lentamente si snodano attraverso il paese, sono un continuo di cartelli marroni che indicano cantine e monasteri. La stessa modalità visiva per individuarli, quasi a sottolineare come nella cultura locale siano da considerarsi egualmente importanti.

Chi arriva da fuori non tarda molto a capire l’importanza della questione vino. Quando scambiando due chiacchiere sull’argomento con il tuo autista lui la mattina dopo ti porta da assaggiare una boccetta con il suo rosso da uve Saperavi, capisci subito che è una cosa seria. Così come quando chiedendo consiglio per un ristorante alla padrona della tua Guest House, questa ti prega di entrare in casa sua nel corso della cena tradizionale Georgiana, al cospetto di tre generazioni della sua famiglia riunite davanti all’enorme tavola imbandita, per farti assaggiare un godibilissimo vino bianco che si stenta pensare fatto in casa, almeno secondo i nostri standard di vino “del nonno”.

Non c’è problema se anche, per non rischiare il divorzio, si dedicano solo due o tre giorni alla visita del Kakheti principale regione produttiva, proseguendo poi nella visita del resto del paese. Ovunque si ha la possibilità di approfondire la conoscenza dei vini provenienti dalle differenti zone, dei metodi utilizzati e dei vitigni vinificati tra gli oltre 500 della base ampelografica più vasta del mondo. Per un amante del vino è veramente un viaggio incredibile perché il vino, le cantine e la possibilità di approfondirne i contenuti, sono sempre dietro l’angolo in tutto il paese.

A parte i Tasting Tours un po’ turistici che giornalmente partono da Tbilisi, le visite in cantina fatte in autonomia hanno un sapore diverso dal solito. Il vigneto del Kakheti è immenso e fatto da alberelli medio bassi che si dividono in due bracci principali, ma a stupire è sempre la disponibilità di ogni vignaiolo incontrato.

L’apparente rudezza dei tratti somatici, viene illuminata da occhi che brillano di passione allorché si comincia a parlare di vino. Quando capiscono che il vostro è un interesse sincero cercano subito il confronto e, anche se la comunicazione si svolge traducendo dal georgiano, all’inglese, all’italiano e viceversa, è la lingua della passione che permette di comunicare.

L’argomento che tiene banco è quasi sempre la vinificazione in anfora interrata, il Kvevri, tratto distintivo della viticultura Georgiana e patrimonio Unesco dal 2013, che restituisce vini unici nel loro genere. Mille domande sul loro metodo di vinificazione che comprende il grappolo completo di bucce e raspi, in percentuali diverse da regione a regione.

Da parte loro invece l’interesse principali è verso i vini bio o “no pharmacy” come li chiamano e, verso le nostre modalità produttive rispetto a questo tema. Durante la discesa in cantina presso l’Azienda Vazha Getiashvili, il produttore si sofferma davanti ad una nicchia sul muro all’interno della quale mi indica la sezione di un’anfora spaccata e ancora interrata.

Subito dopo gonfiandosi il petto, mi comunica in qualche modo che il kvevri si trova nella posizione originale in cui è stato scoperto durante lo scavo per la costruzione della sua cantina. Per leggere il suo orgoglio nel produrre vino li dove lo si fa da migliaia d’anni, non c’è bisogno di parlare la stessa lingua. Mangiando pane e formaggio beviamo due splendide bottiglie della sua produzione e l’approccio è folgorante, specialmente per il bianco che qui viene chiamato Amber Wine perché quello difatti è il suo colore.

Il Sheniani da Uve Rkatsiteli 2017 è parente stretto dei macerati ma ben diverso da loro. Diventerà per me il modello di riferimento in questo approccio molto poco esaustivo alla Georgia del vino. Stile di vinificazione unico che costringe a ridisegnare completamente i parametri degustativi.

Non filtrato ne chiarificato eppure non torbido, almeno come uno se lo aspetterebbe. Esprime la sua presenza tannica nello spessore del vino, in cui la parte fruttata richiama alla disidratazione di frutti come albicocca e pesca,  accompagnandosi di spezie dolci, sfumature balsamiche, tenui floreali e mix di erbe secche di campo e aromatiche, con lievi note fumé. Grande complessità da stare un’ora col naso nel bicchiere.

La tipologia del vino induce anche a ripensare alle temperature di servizio che possono tranquillamente alzarsi di qualche grado, così come agli abbinamenti, che la capacità dei vini permette in grandi possibilità di impiego. Dopo è la volta dello Sheniani rosso da uve Saperavi 2017, qui l’impronta del Kvevri seppur molto caratterizzante lascia intravedere similitudini con i prodotti da vinificazione classica. Sarà per il vitigno in cui si individuano struttura, equilibrio e morbidezza, che richiama alla memoria alcuni vini da uve Primitivo, comunque un vino di estrema godibilità.

Al termine di uno degli eno pomeriggi più belli di sempre, vista la limitata possibilità di assaggi dovuta alla ridotta permanenza sono costretto ad una decisione drastica, quindi per tutto il viaggio berrò quasi esclusivamente Amber Wine. Anche la visita alla casa-museo del principe Alexander Chavchavadze a Tsinandali si rivela di grande interesse.

Poeta e nobile Georgiano di riferimento ma anche grande collezionista di vini e viticoltore del 1800, dà oggi il nome a un’Azienda di cui è possibile assaggiare una selezione di vini allargando l’orizzonte dell’esplorazione, come il Mtsvane, lo Tsinandali ottenuto da un taglio di uve Rkatsiteli e Mtsvane, il Khikhvi, e degustando anche vini come il “9”, stupendo rosato che deve il nome al numero di varietà impiegate nella sua vinificazione, questa volta tradizionale.

Un saggio dell’arte Georgiana di fare il vino che prescinde dal metodo e si denota anche nel Saperavi semi sweet. Passando per la cittadina di Sighnaghi è d’obbligo una sosta nel locale di Pheasant’s Tears, importante Azienda del panorama Georgiano, in cui è presente tutta la gamma dei suoi vini tra cui il Kinuri, Amber della regione del Kartli di grande eleganza e finezza nella sua snella ma presente struttura.

E’ poi la volta di visitare l’Azienda Chelti che produce sia in Kvevri che nel metodo europeo, inseguendo un profilo internazionale e puntando anche molto sul circuito turistico del tasting. Qui si possono assaggiare due bianchi, il Chelkti of Grevrì e il Khikhvi, più un Saperavi però purtroppo servito freddo di frigo. Lungo la strada verso Ushguli poi, altri memorabili assaggi di vini in kvevri hanno accompagnato il viaggio.

Il Rkatsiteli di Archil’s Wine dalla zona di Telavi, quello di Vazisubani del Kahheti e il Khikhvi, anch’esso di quest’ultima Azienda, tutti di eleganza avvolgente e grande personalità. Purtroppo una viticultura di questi contenuti avrebbe meritato un grandissimo approfondimento difficile da fare nei tempi di un viaggio, specie se on the road e con lo scopo di attraversare tutto il paese.

Per ogni eno appassionato il ritorno dalla Georgia è una sorta di enorme privazione, ma che riconcilia con un mondo del vino ancora autentico e lontano anni luce dal nostro.

Visitare l’antica cantina di un monastero o di un sito archeologico per rendersi conto che è sostanzialmente identica a quella di un’Azienda attuale fa il suo effetto. Una vasca per pigiare l’uva, i kvevri interrati e qua e la qualche bastone per una sorta di follatura, tutto qua. Ora come allora stessa tecnica e identica attrezzatura.

Un mondo senza sbicchieratori da tunnel carpale, niente hipster ne fighettismo e nessuno che vuole “rendere seducente il mondo del vino”. Soltanto la vite, l’uva, il vino, l’uomo e le sue relazioni millenarie. Aspetti che giunti fino ai giorni nostri, sono stati l’elemento di maggior spinta verso una passione che un viaggio in Giorgia fa risplendere nuovamente in tutto il suo entusiasmo.

 

Bruno Fulco


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