La parola ai produttori

Il Soave della famiglia Gini grande interprete della generosità del territorio

Una delle Aziende che ha saputo trarre il meglio dalla generosità di un ambiente che sembra stato creato apposta per fare vino

La proverbiale operosità Veneta trova pieno riscontro nella sua viticoltura e tra i prodotti di questa spiccano i vini Soave che grazie ad un oculato lavoro dei suoi produttori,  riescono sempre a guadagnare ampio consenso. I consumatori ne apprezzano le sfumature caratteriali e di complessità, conferita dalla ricchezza dei suoli che passano da tufo vulcanico a fondo calcareo.

Tra le Aziende più amate tra gli estimatori figura senz’altro Gini, una delle più antiche, che coltiva i propri vigneti a Monteforte d’Alpone nel Soave Classico già dal 1500.

Qui tutto parla di tradizione a partire dalla fantastica cantina sotterranea scavata nel tufo vulcanico che la regolazione naturale del sottosuolo mantiene costantemente alle migliori condizioni di freschezza e umidità per l’affinamento dei vini.

Le testimonianze storiche riportano il susseguirsi delle generazioni di viticoltori Gini in Contrada Salvarenza fino ad arrivare ad Olinto, che ha messo questo  patrimonio familiare di conoscenza nelle mani dei figli Sandro e Claudio.  Sono loro che oggi si prendono cura dei 35 ettari di vigneto in posizione collinare che comprende i Cru di Froscà, Contrada Salvarenza e Col Foscarin.

L’approccio di gestione mira a far convivere il know – how con le innovazioni in maniera naturale per ricercare la massima espressione del territorio.  Il concetto che guida la produzione è quello della viticoltura biologica e biodinamica, valorizzando al meglio le uve attraverso il lavoro della terra in maniera naturale.

La raccolta avviene a mano in tre momenti diversi, per consentire alle uve di raggiungere la maturazione ottimale e premettere la migliore selezione dei grappoli. Nel metodo di vinificazione praticato dalla famiglia Gini un momento importante è stato sicuramente la vendemmia del 1985, la prima a vedere una vinificazione senza l’impiego di anidride solforosa.

Scelta importante anche quella di mantenere le vecchie viti di Garganega, che oggi tra gli 80 anni e il secolo di vita rivelano tutto il loro potenziale espressivo che regala piccole produzioni di uva dalle grandi qualità organolettiche.  Se ne può apprezzare il risultato nel Soave Classico Contrada Salvarenza Vecchie Vigne, di cui un terzo a “piede franco”, che raccoglie in se tutto questo potenziale rivelandolo in meravigliosa eleganza nell’evoluzione che il vino affronta nel tempo.  Di questo e altro abbiamo avuto il piacere si scambiare qualche  opinione  con Sandro Gini che attualmente è anche il Presidente del Consorzio Tutela Vino Soave:

La viticoltura in famiglia esiste da sempre da quando l’ha incontrata lei ad oggi come è cambiata e come è cambiato il ruolo del viticoltore in rapporto al territorio?

La famiglia Gini, a Monteforte d’Alpone, affonda le sue radici viticole sin dal 1500, arrivando oggi alla 15° generazione.

Ho iniziato a seguire e coltivare i nostri vigneti assieme a mio padre Olinto che mi ha insegnato e tramandato l’arte del buon viticoltore. Ricordo che da bambino, nei primi anni ’60, accompagnavo mio padre nei campi a bordo del “carretto” trainato dal “Biondo”, il nostro cavallo da lavoro; il trattore allora non c’era.

La viticoltura era riservata al “Monte”, mentre la “Campagna” pianeggiante ai piedi delle colline era destinata ai seminativi, soprattutto di frumento e mais ed ai prati di erba medica, che sfalciata a mano, veniva essiccata nei fienili diventando fieno per il bestiame.

Ancora negli anni ’70, la vigna in collina, veniva tutta zappata a mano. Dopo i temporali bisognava raccogliere la terra che la pioggia aveva smosso, con il badile caricarla sulla carriola e riportarla da dove era “scesa”. Un lavoro duro e faticoso, che dimostrava però quanto i viticoltori amassero la propria vigna prendendosene cura.

Passione che anche oggi è rimasta nei viticoltori attuali, che con grande rispetto hanno salvaguardato tutto il nostro territorio, con la sua biodiversità, mantenendo anche in collina la tradizionale pergola veronese (tipologia di allevamento) particolarmente adatta alla coltivazione della Garganega, la “regina” delle uve bianche nel Soave.

È grazie soprattutto a loro se l’area collinare del Soave è rimasta integra, bella ed armoniosa, riconosciuta dal 2018 patrimonio agricolo di rilevanza mondiale per la GIAHS FAO tra i pochissimi siti al mondo. La consegna ufficiale di tale riconoscimento è avvenuta il 23 Maggio 2023. Oltre alla bellezza è stato riconosciuto di grande valore il mantenimento dell’agro-biodiversità, le conoscenze tradizionali, la diversità culturale e lo sviluppo sostenibile ed equo per le generazioni presenti e future.

Sono molte le Aziende che producono ottimi Soave ma il vostro Contrada Salvarenza Vecchie Vigne sembra avere una marcia in più. Oltre al merito indubbio della longevità del vigneto quale sono gli altri segreti di questo vino straordinario?

Sicuramente sono tanti i segreti e i misteri che avvolgono questa Vigna e questo vino. Madre Natura è così straordinariamente complessa e profonda che noi riusciamo a svelarne solo qualche frammento. Sono vigne centenarie, alcune pre-fillossera, che non abbiamo mai voluto estirpare, anche se producono poco, per mantenere tutte le più belle espressioni della Garganega.

Quindi non solo pochi cloni moltiplicati ma piuttosto una collezione di biotipi di Garganega differenti, tramandati di padre in figlio. Recenti ricerche condotte da biologi, hanno evidenziato come questa Vigna presenti una vitalità sorprendente nel sottosuolo del terreno, contando ben 200 insetti diversi, di cui uno mai catalogato finora: un piccolo grillo cieco. Una vitalità doppia rispetto ad una vigna normale, dovuto al fatto che da sempre è lavorata in biodinamica secondo le “regole” della Famiglia Gini.

Anche l’escursione termica è molto importante, in media 7° in più rispetto ad altre colline della Zona. Questo sbalzo termico si verifica grazie a delle correnti d’aria fresca che scendono, accarezzando il fianco della collina Froscà, esposto a Sud-Est, noto come Salvarenza, dove vi rimane tutta la notte sino ai primi raggi di sole del mattino.

Oggi spesso si abusa della parola Bio utilizzata più come leva di marketing che come modello agricolo. Cosa si intende per lei prendersi cura delle vigne in maniera naturale?

Essere in armonia con la natura ed operare con lei in maniera armoniosa e rispettosa, è di fondamentale importanza per creare quel giusto equilibrio di vibrazioni positive che fanno star bene noi e le nostre vigne.

Nel 1985 la vostra prima vinificazione senza solforosa è stata rivoluzionaria. Oggi si fa un gran parlare dei vini naturali cosa ne pensa e secondo lei è un fenomeno fine a se stesso o porta con se contenuti validi e innovativi?

L’esperienza del 1985, mi ha insegnato da giovane enologo di pormi nel confronto del vino in maniera nuova e molto più attenta e rispettosa, piuttosto che semplicemente aggiuntiva e correttiva.

La forza della natura va capita ed interpretata. Non in un atteggiamento passivo ma creativo. Molti si sono improvvisati produttori di vini naturali in modo sbagliato. Non mi piace sentirmi dire: “io in questo vino non ho fatto niente!”. Preferisco sentirmi dire: ”ho evitato aggiunte inutili ed inopportune, sostituendole con una maggiore mia attenzione e premura, così da far esprimere la vera identità del mio terroir”. La migliore qualità oggi è proprio quella dell’autenticità.

La ricchezza dei suoli è una delle grandi peculiarità del territorio del Soave in grado di restituire una gamma diversa di sfumature e personalità dei vini. Quanto è importante in questo senso investire sulla micro-zonazione per evidenziare queste caratteristiche?

Siamo molto fortunati ad avere nel Soave un territorio con terreni così diversi e complessi, capaci di donare un carattere distintivo al vino prodotto su ciascuno di questi suoli. Rocce calcaree e tufi vulcanici di varie colorazioni e composizioni fanno la netta differenza tra una collina e l’altra. Investire sulla micro-zonazione, significa investire sul futuro del Soave e sulle sue molteplice potenzialità.

Il consorzio del Soave in Italia è sempre stato un esempio di lavoro e programmazione come dimostra il Soave Versus che si rinnova ogni anno per mettere in vetrina tutto il mondo del Soave. Pensa si sia arrivati al massimo per valorizzare questo vino oppure c’è ancora spazio per spingersi oltre?

Tanto si è fatto sinora con il consorzio del Soave sia in Italia che nel Mondo, ma questo grande vino bianco italiano ha bisogno ancora di raccontarsi, di essere conosciuto meglio dai giovani, di svelare le sue invidiabili performance.

Soave Versus ad esempio si è evoluto e dallo scorso anno è diventato Soave Multiverso, proprio per raccontare le nostre eccellenze in maniera trasversale, andando ad intercettare non solo gli esperti ma anche tutte quelle persone che, senza una particolare formazione, si avvicinano al vino per il piacere della convivialità e che poi, da lì, desiderano saperne di più.

Qual è la risposta dei mercati esteri ai vini della vostra Azienda e come viene percepito più in generale il Soave sul mercato internazionale?

Con molta soddisfazione, i nostri vini sono sempre stati considerati un sicuro punto di riferimento e per questo stimati ed apprezzati. Oggi il mercato internazionale è alla ricerca di vini dalla elevata qualità e in tal senso sono sempre più numerosi i vini Soave presenti nelle carte vini di ristoranti prestigiosi e di negozi specializzati di alto livello.

Se non fosse figlio di questa tradizione in quale zona, territorio o nazione le piacerebbe cimentarsi con la viticoltura e con quali vitigni?

Sono sempre stato affascinato dalla viticoltura in Borgogna, creata a misura d’uomo e del suo cavallo, che ha saputo mantenere nel tempo un’alta densità di viti per ettaro ( 10000 ) con il concetto di produrre pochissima uva per ceppo, ma di elevata qualità.

Anche se ci si “spacca la schiena” per lavorare queste vigne così basse, il risultato ne vale la pena e lo “trovi” tutto nel bicchiere.

Il Pinot Nero è un vitigno sorprendente, misterioso, delicatissimo e bizzarro, che non si lascia piantare ovunque ma ha i suoi posti prediletti dove riesce ad esprimere al meglio tutta la sua grandezza.

Da presidente del consorzio del Soave qual è la cosa più importante che si prefigge di fare?

Una sana e salutare rivoluzione di tutto il Soave, che porti prestigio e benefici a tutta la denominazione, compresi tutti i suoi buoni viticoltori. È un progetto ambizioso realizzabile sulla base di un confronto costante all’interno del mondo della produzione che deve lavorare coeso e unito verso obiettivi condivisi.

In tale senso sono ottimista perché oggi nel Soave, sia tra i piccoli produttori che tra le grandi aziende, sono presenti giovani uomini e donne che stanno già lavorando per dare un forte impulso alla nostra denominazione.

Quale potrebbe essere il provvedimento amministrativo/legislativo più importante che lo stato potrebbe mettere in atto per aiutare il comparto vitivinicolo?

L’immagine del vino italiano nel Mondo può ancora crescere, come ancor di più potrebbe essere l’incremento di valore che ne deriva. Una strategia importante sarebbe investire più risorse economiche di sostegno alla viticoltura di collina, non così facile da coltivare e conservare anche per preservare il paesaggio naturale e la biodiversità.

Il tutto con un triplice beneficio: proteggere l’ambiente anche nei confronti del cambiamento climatico e le sue relative conseguenze, incrementare e potenziare l’enoturismo nelle incantevoli colline ed infine fare e produrre i vini sempre più buoni.

Bruno Fulco

 

 

 

 

 

 

 


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