Stile e Società

Il burnout dello chef

Casualmente, nel mio quotidiano navigare in rete, ho trovata la notizia della recente sparizione di un giovane cuoco di Bergamo e della sua ricomparsa, telefonica, tranquillizzante per la famiglia che ora aspetta il ragazzo rifaccia a ritroso le migliaia di chilometri che lo ha portato in fuga, e mi son fatta una riflessione “psico-sociologica”.

Non tanto sulle ragioni che portano tante persone ad andarsene volontariamente senza dare avvisaglie, ma sui motivi alla base di uno stress emotivo che colpisce diverse categorie di lavoratori già studiate e nello specifico una ancora non presa in considerazione.

Non ho idea se il giovane Chef Nicholas Angeloni, 33enne, che per circa sei anni, fino all’anno scorso, aveva gestito il ristorante-enoteca “Porta Osio” di via Moroni, Bergamo, facendosi un buon nome, abbia avuto problemi personali di qualche genere, e il fatto sia uno Chef è forse solo una pura coincidenza, tuttavia questo collegamento ad una categoria finora non contemplata nei libri sul “burn out” professionale, mi stimola ad analizzare – sinteticamente – la possibilità che nella carriera lavorativa degli Chef ci siano talmente tante tensioni che, unite alle intrinseche caratteristiche di personalità, possano far esplodere un “cortocircuito” il quale può manifestarsi in un rifiuto, una ribellione, una fuga.

Duro e lungo è il percorso di studio per diplomarsi nelle scuole alberghiere e specializzarsi nel settore prescelto. Spesso, all’inizio, possono sussistere ostacoli nelle famiglie che poco credono in tali professionalità, mentre poi subentrano le corse a farsi assumere in locali di prestigio onde aggiungere titoli al curriculum.

Il “tempo determinato” o “stagionale” è quasi una regola, per alcuni va bene, contando su un guadagno immediato sufficientemente alto e, non infrequente, su contratti che consentono un licenziamento per conseguire un’indennità utile a vivere nei tempi “morti” o di transizione al successivo ingaggio. Per altri, l’interruzione di una continuità lavorativa e il dover rimettersi periodicamente in concorrenza sono condizioni logoranti. Necessita una forte determinazione a percorrere questa strada scelta per passione e con convincimento profondo, quasi investendo in una “missione”.
Anche gli individui con carriera professionale in prospettiva solida a lungo termine possono cadere nel “cortocircuito”, in parte a causa delle tensioni emotive vissute nell’ottenere e mantenere l’obiettivo (oggi gli ostacoli maggiori sono finanziari e burocratici), in parte per la portata emozionale di un ruolo che “gli altri” si aspettano sempre di maggiore livello e qualità di prestazione.

Incidono molto le caratteristiche di personalità soggettiva che Christina Maslach ha codificato, ossia indole riservata e poco espansiva, ansioso ma non aggressivo, oppure impaziente e facile alle esplosioni colleriche di fronte agli ostacoli, poca ambizione o viceversa molta, scarsa fiducia in sé stessi o viceversa elevata autostima, non sentirsi realizzato. Ma anche investire sul gruppo, il team in cui si lavora, i propri significati affettivi e sentirsi non ricambiato o addirittura frustrato, perdere la percezione della propria efficienza, sforzarsi di compiacere tutti e aspettarsi sempre un feedback dalle proprie azioni nel bisogno di continue lodi.

Uno Chef che esce dalla cucina e si accosta al tavolo dei clienti per sondare il gradimento, e spiegare la regia del piatto, non sempre viene apprezzato. Il cliente ha mai pensato di offendere il suo amor proprio professionale ignorandolo?

Maura Sacher


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