Stile e Società

Gaffe di Matteo Oleotto e del suo cast a Venezia

Che c’azzecca il Collio friul-goriziano con le osmize del Carso triestino? Si tratta di una semplice svista o di scarsa memoria per il goriziano regista dell’unico film italiano in concorso alla Settimana della Critica in gara a Venezia? Neppure si è scusato né lui (irreperibile) né alcuno della organizzazione. Anzi.

Grandi titoloni: «Osmiza al Lido. In occasione della presentazione alla Sic di ‘Zoran, il mio nipote scemo’, verrà ricreata vicino al Casinò, e per tutto il periodo della Mostra, l’antica osteria friulana. Le vie del marketing sono infinite (…) arrivano fino a un’antica osteria friulana, l’osmiza».

Dai comunicati stampa della casa cinematografica ancora si apprende che «È questa l’innovativa idea promozionale ideata e realizzata dagli autori del film. Casa Zoran, una villa vicino al Casinò, riproporrà l’antica tradizione dell’Osmiza, che risale ai tempi dell’impero austro-ungarico, quando l’imperatore Giuseppe II nel 1784 concesse ai contadini la vendita diretta di alcuni prodotti propri, per il periodo di otto giorni. ‘Zoran, il mio nipote scemo’ è ambientato nel regno delle Osmize, le frasche friulane, una sorta di osteria a conduzione familiare dove si trovano solo prodotti realizzati in casa: vino, grappa, formaggi e salumi».

Che durante tutto il periodo del Festival è operativa un’Osmiza non può che fare piacere ai triestini, ma quando per affermare un tanto ci si sbaglia di una cinquantina di chilometri e di provincia e la si confonde con la “frasca friulana”, beh, mi dispiace io non ci sto e tra i triestini primo tra tutti l’assessore regionale alla Cultura Gianni Torrenti, che lo ha fatto presente, senza polemizzare.
E sicuramente neppure sono contenti i friulani a leggere che l’ambientazione madre del nuovo film di Oleotto equipara alla tipiche frasca friulana «un’osmiza, il tipico locale del Carso in cui si bevono vini e mangiano prodotti locali», benché anche entrambe individuate da una “frasca” ossia una ramaglia appesa ad un cartello con freccia. Siamo sul Carso triestino o sul Collio nel triangolo friul-goriziano-sloveno?
Diciamo pure schiettamente che i goriziani sono a tre dimensioni etnico-culturali: geograficamente giuliani, nel circondario sloveni, nel nucleo antico di parlata friulana.

Però, ad ognuno il suo! È come citare i “masi” dell’Alto Adige denominandoli “trentini”, o confondere una tradizione gastronomica tipica romagnola con una emiliana. Scherziamo?
Non per campanilismo, ma per una sana tradizione radicata nella storia. Non per niente la nostra regione si chiama “Friuli-Venezia Giulia”, ossia due entità culturali, e gastronomiche, in una geografica, come le altre regioni citate, e come era la vecchia regione Abruzzo-Molise poi divisa.

È lodevole ad ogni modo, in tempi critici l’intento: «Per finanziarci l’ultima parte del budget, abbiamo deciso di vendere vino, in cambio di quote del film (hanno aderito subito gli amici vignaioli del Collio tra cui Renato Keber)».
Perfetto, ma senza fare confusione di terminologie e concetti.

Maura Sacher
m.sacher@egnews.it


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