Stile e Società

Femminile, maschile, neutro: come orientarsi?

In occasione dell’8 marzo, la Presidente della Camera Laura Boldrini, donna meritevole di rispetto per l’impegno infuso in tutte le attività della sua vita e per le difficoltà affrontate, abbia indirizzato a colleghi e colleghe deputati (deputatesse o deputate?) un messaggio, perorando la causa di una declinazione al femminile ‘senza se e senza ma’ delle professioni.

Sempre l’8 marzo, Debora Serracchiani, in un’intervista al ‘Corriere della sera’, ha avanzato qualche dubbio sulla declinazione ‘senza se e senza ma’: sfidare la cacofonia dei suoni con discutibili neologismi in nome di un neofemminismo aggressivo le pare una scelta sbagliata.

Sull’argomento i plurireferenziati Maestri Cerimonieri avevano già scritto un anno fa (http://www.ilcerimoniale.it/index.cfm?fuseaction=app.archivioSM&tabella=1&id=111) e rimangono oggi della stessa idea: «si salvano capre e cavoli declinando (per ora) al femminile gli articoli, non le desinenze dei nomi».
Interessante anche questo http://timeforequality.org/dossier-la-giudice/genere-e-linguaggio/ da dove è tratta l’immagine in copertina.

Da donna a donna, cambia qualcosa se la professione ha una desinenza?image
Andiamo, basta con le pretese ideologiche.
Il corrispondente femminile di imprenditore è imprenditrice, come il contadino e la contadina, come il Presidente e la Presidentessa, o a seconda dell’austerità del contesto la Presidente (ufficialmente, ‘senza ma’). Già, e il corrispondente del termine “agricoltore” è “agricoltora” o “agricoltrice”? L’Accademia della Crusca di sicuro lo spiega. Anzi, lo dice prima Google, che mi sottolinea in rosso “agricoltora” e mi passa “agricoltrice”. Molto bene, è risolto.

Suggerire ai giornalisti (o velatamente forzarli) di scrivere i neologismi nei loro pezzi (“Giudice”/”Giudichessa”, “Revisore”/”Revisora” e altro) solo per creare precedenti e farli entrare nella testa dell’opinione pubblica, a me personalmente sembra una stonatura. Non certo in linea con lo spazio che le donne si sono conquistate nei settori lavorativi di precedente appannaggio maschile.

La prevalenza linguistica del maschile è un ostacolo sul percorso verso l’uguaglianza? Uguaglianza che a me personalmente come vocabolo ha dato sempre estremo fastidio, come fosse una concessione della categoria maschile, mentre si dovrebbe parlare piuttosto di “pari opportunità”, che l’altra metà del cielo (intendo “l’altra” da noi, genere femminile), per atavica paura non ha mai voluto affermare, inventando la psicanalitica “invidia del pene”, roba del tutto maschile.alice-nel-paese-delle-merav-large

Tralasciamo i ragionamenti politici delle quote rosa, le donne professioniste ed imprenditrici sentono davvero che il loro cammino verso i vertici, il vecchio “soffitto di vetro”, possa essere pregiudicato o avvantaggiato da una declinazione al femminile?
Quando delle 234.684 aziende rosa dell’agroalimentare, oltre 9 su 10 riguardano il comparto agricolo, ha importanza una desinenza?

Maura Sacher


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