Tribuna

Disgusta il taglio della carne in tavola?

Non è una domanda retorica, leggendo la letteratura in proposito mi è sorto il dubbio che forse qualche commensale potrebbe avere il voltastomaco non tanto nell’assistere alla spartizione del pasticcio al forno quanto piuttosto nel vedermi tranciare la faraona o il tacchino o lo stinco di maiale, e pure il mio fantastico brasato, davanti ai loro occhi. O forse sono i coltellacci ad impressionare?

È vero che già a metà dell’opera la pirofila assomiglia ad un campo di battaglia e che ci vuole grande arte per fare le porzioni uguali per tutti, lasciando indietro i pezzi peggiori da mettere nel piatto del marito e specie nel mio, ma, assistendo a ciò in casa d’altri, io non mi sono mai “disgustata”, forse perché sono una che guarda senza battere ciglio CSI, quei telefilm dove il tavolo anatomico è quasi sempre in primo piano …  

Eppure, per decine di secoli il presentare interi gli animali, cucinati con tanta maestria e farciti a fantasia, costituì un lussuoso vanto per il padrone di casa e un privilegio per chi veniva incaricato dello “scalco”, affiancato dalla figura tecnica del “trinciante”, ancora fino al 1600 presso tutte le corti principesche. Nel ‘700 questo è diventato un compito che i nobili e i ricchi borghesi cominciano ad assumersi in prima persona nei sontuosi banchetti, secondo lo stile che poi venne chiamato “alla francese”. Infatti, nella nuova tendenza è il padrone di casa che orgogliosamente taglia il maialino davanti a tutti, mandando a ciascun commensale, attraverso il servitore, il piatto riempito.

Ma agli inizi del secolo successivo, una vera “rivoluzione” introdotta in Francia da un diplomatico russo scompagina la «mise en place», dalle tavole spariscono i contenitori, i trionfi, le alzate con il bendiddio esposto, dalle cucine le pietanze escono in sequenza secondo le portate e il «joint» per le carni viene eseguito su un tavolino a parte, chiamato «guèridon», dove il padrone di casa trancia e affetta senza avere addosso gli occhi degli ospiti, con grande gioia delle raffinate dame commensali.

Nemmeno questo sistema, più discreto, piacque a tutti, cosicché in alcuni manuali di Galateo del secondo ‘800, come quello redatto nel 1877 dalla “Marchesa Colombi”, pseudonimo di Maria Antonietta Torrioni, emerge che è comunque considerato barbaro e grossolano costume e “da osteria” assegnare le porzioni, perché agli ospiti deve essere lasciare la libertà di servirsi da sé, come ai vecchi tempi.

Così, seguendo il consiglio del galateo ottocentesco, dopo aver presentato agli ospiti in sala la pietanza nella sua interezza per il godimento della loro vista, la padrona di casa torna in cucina con la pirofila, fa le parti che servono, le sistema con decoro e porta in tavola il vassoio con i pezzi già tagliati, in modo che gli ospiti si servano da soli.

Dobbiamo però preoccuparci che la pietanza da allestire in cucina si mantenga alla temperatura giusta per il tempo di fare le parti, auspicando che i nostri ospiti riescano a conservare l’acquolina in bocca finché ritorniamo da loro.
Ma poi, chi ci obbliga a far vedere in anteprima la nostra opera tutta intera?

donna Maura
m.sacher@egnews.it


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