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Ci rassegniamo o lottiamo fino all’estremo della nostra voce per difendere i prodotti italiani?

Ma la “nostra” voce di chi alla fine è?

Inutile dire che non si sgola una gran parte dei cittadini italiani, quelli che non hanno interessi partitici, quelli che si preoccupano delle tasse da pagare, quelli che devono al lavoro la loro sopravvivenza e soprattutto quelli che un lavoro non ce l’hanno, quelli che hanno in testa solo lo studio e magari di farsi una carriera all’estero, e quelli che nemmeno conoscono i nomi dei governanti, incluso dell’attuale Presidente della Repubblica.

E, forse, neppure interessa far sentire la propria voce quelli che seguono programmi in tv su discussioni politiche e si fanno una testa così e/o anche un fegato così, quelli che vengono trattati da “depensanti”, popolino da indottrinare con un paio di altisonanti slogan per utilizzarlo per raccogliere consensi, ma che alla fin fine si sentono presi in giro e nei sondaggi dichiarano la loro posizione non certo favorevole all’onda del momento.

Abbiamo le nostre ragioni per temere di non poter fare affidamento né ai media con i loro titoloni né ai comunicati stampa compiacenti, i quali – per esempio – ci vendono come per ratificato dall’Italia ed in vigore da due anni il CETA, l’accordo tra Unione Europea e Canada, o per scontati i dazi Usa sull’esportazioni dei prodotti italiani, tra cui vini, spumanti e formaggi, tanto che già i produttori oltre a piangere minacciano di alzare i prezzi, spaventandoci tutti.

Inorridiamo che le categorie di imprenditori agricoli siano così divise sull’argomento, come sugli Ogm e sul Glifosato, l’erbicida ammazzatutto. Certo, ognuno tira l’acqua al proprio mulino, ma se questa è inquinata alla fonte, ne nuoce la salute di tutti a valle.

Noi proviamo a far sentire la nostra voce per difendere i prodotti italiani e i loro realizzatori, ce la faremo a far valere le nostre buone intenzioni?

Maura Sacher


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