La parola ai produttori

Cantina Le Macchie recupera la tradizione medioevale del reatino

Antonio Di Carlo riscopre il Cesenese Nero e lancia la viticoltura locale nel futuro

La rinnovata vigoria della viticultura Laziale investe anche la provincia Rieti, tradizionalmente distante dagli onori della cronaca per la vite e per il vino. Con un numero di Aziende che si contano sulle dita di una sola mano, finalmente anche qui focolai di eccellenza si stanno sviluppando, e chi ne ha già intrapreso decisamente il percorso è senza dubbio Cantina Le Macchie sulle pendici del Monte Terminillo.

La vite comunque è una questione antica anche per Castelfranco, dove è situata la Cantina. Frazione del reatino segnalata già dal 1376 come roccaforte di difesa tra lo Stato Pontificio ed il Regno di Napoli, al centro di antiche battaglie di conquista da parte degli aquilani fedeli alla Regina Giovanna I di Angiò.

Abbattute e ricostruite nel corso di antiche contese, le vecchie mura ancora oggi difendono parzialmente il castello conservando la porta del 1393, con lo stemma di Antonuccio de’ Marchesi da Massa Podestà, di Rieti.

A quell’epoca risale anche l’antica cantina sotterranea Aziendale restaurata e visitabile,  in cui tutt’oggi vengono affinati i vini. Un’ambiente suggestivo, in cui si possono vedere i resti delle vasche per la pigiatura e la fermentazioni delle uve presenti già nel 1400.

Facendo un lungo salto nel tempo giungiamo al secolo scorso, quando la famiglia Di Carlo dedita all’Agricoltura e al mercato locale di vino e dell’olio, decide negli anni ’70 di ristrutturarsi Aziendalmente per dare vita al percorso odierno che insegue la qualità.

Con l’esperienza della terra vissuta come origine familiare a cui tornare sempre, nasce la Cantina Le Macchie. I vigneti si distendono a un’altitudine compresa tra i 610 e 650 mt s.l.m. sulle colline poste tra la conca reatina e il Monte Terminillo, protetti dalle correnti fredde provenienti da Nord e aperti verso sud agli influssi mediterranei. Caratteristica che rende Rieti la città italiana con la massima escursione termica, a tutto vantaggio delle caratteristiche olfattive dei vini.

Ogni operazione nei vigneti viene condotta manualmente, adottando il protocollo del regime biologico con pratica del sovescio. I terreni sono diversificati e vanno da parcelle ricche di argilla a suoli di tipo limoso a calcarei con buon apporto minerale, dove secondo l’ampelografia  locale Malvasia e Trebbiano assicurano la quota a bacca bianca lasciando a Cesanese, Montepulciano e Sangiovese la componente di vitigni a bacca rossa.

Viste le particolari caratteristiche pedoclimatiche però, si è tentato anche l’approccio con vitigni più tipicamente nordici come Traminer e il Riesling, scelta perfettamente centrata visto il risultato che stanno dando e aumentano le fila degli estimatori di anno in anno.

Discorso a se merita il Cesenese Nero autoctono recuperato da Cantina Le Macchie, a partire da una pianta di 170 anni presente in un’Azienda Agricola locale. Del vitigno si parla già nei documenti del Comizio Agrario di Rieti del 1879 chiamato anche come Cesenese di Castelfranco e, coltivato tra le colline di Castelfranco e il territorio attiguo del Comune di Cantalice.

Attraverso le documentazioni recuperate negli archivi della Chiesa di Castelfranco, in cui sui parla di vini da Cesenese commercializzati nel reatino, si è potuto intraprendere uno studio che nel 2017 ha consentito di iscriverlo al registro dei vitigni come vitigno autoctono distinto dagli altri Cesanese.  Di questo ed altro abbiamo potuto scambiare qualche impressione con Antonio Di Carlo anima di Cantina Le Macchie:

Per Cantina le Macchie è proprio il caso di dire “Ritorno alle Origini”. Cosa ha motivato o da dove nasce la decisione di trasformare un’attività agricola familiare in una vera e propria realtà vitivinicola?

Diciamo che il solco era tracciato. Il territorio, il ristornate di famiglia, la passione per i vini, tutto mi portava in questa direzione. Oltre alla sfida in se in un contesto senza tradizione enologica ma con un passato da riscoprire e un futuro da scrivere.

I vostri vini dimostrano che situazione pedoclimatica e varietà dei suoli garantiscono un ottimo profilo organolettico grazie anche alla decisa escursione termica, condizioni molto favorevoli ad una viticoltura di qualità. Come mai fino ad ora nessuna altra Azienda ne ha approfittato  lanciandosi in un percorso simile al vostro?

Le motivazioni sono tante. Sicuramente nella storia dell’enologia italiana il territorio di Rieti non è mai stato famoso sia per il contesto socioculturale sia perché circondata da zone in cui il vino veniva prodotto in grandi quantità e a costi inferiori rendendo così molto difficile la competizione. Dal punto di vista agricolo la città ha sempre investito sul grano e sulla barbabietola da zucchero, tralasciando il mondo del vino, il successivo arrivo del nucleo industriale e dei fondi del mezzogiorno ha fatto si che le campagne venissero abbandonate, determinando purtroppo l’estirpazione di numerosi vigneti che custodivano all’interno una serie di vitigni autoctoni che pian pianino stiamo ritrovando nelle poche piante rimaste e sulla quale inizieremo a breve piccole sperimentazioni. È mancata poi una cantina sociale in prossimità, attività che in altre zone di Italia hanno fatto in modo di tenere attive piccole particelle di vigneto, questo ha determinato una sorta di scoraggiamento nei piccoli produttori che non sapevano dove poter vinificare le proprie uve.

I vigneti aziendali si distendono su diverse tipologie di suolo che forniscono l’opportunità di coltivare diverse varietà di vitigni. Quale criterio ha guidato la scelta delle varietà da impiantare?

Il primo criterio che abbiamo seguito per il nostro impianto è stata l’altitudine, questo elemento ha già in se fatto in modo di scartare una serie di vitigni che in altura non possono esprimere il meglio delle loro potenzialità. In una seconda fase abbiamo poi analizzato i terreni, molto diversi  tra loro, nella nostra parcellizzazione, abbiamo terreni argillosi, sassosi, e sabbia. Sui terreni sassosi abbiamo impiantato gli aromatici, sui terreni argillosi invece vitigni a bacca rossa, vitigni che hanno bisogno di corpo e struttura.

Tra questi c’è il Cesenese Nero varietà in estinzione e recuperata da una pianta di 170 anni. Con le altre varietà di Cesenese condivide solo il nome (quasi) o geneticamente è un loro parente? Rispetto a queste quali tratti particolari avete rilevato?

Il nome tra in inganno. Il nostro è il CesEnese nero. Questo fatto ci da sia vantaggi che svantaggi in fase di commercializzazione. Con il Cesanese non ha nessun tratto in comune, il vitigno a cui geneticamente è più vicino è il Gaglioppo calabrese ma anche con questo differenzia enormemente. A livello organolettico quindi non c’è nessuna similarità tra Cesenese Nero, come il nostro Ultimo Baluardo e i vini da Cesanese.

C’è voluto un grande e approfondito lavoro di ricerca per riportare in vita il Cesanese Nero, ma quali significati culturali si raccolgono dietro questo impegno?

Il lavoro svolto è stato un lavoro di gruppo, che ha coinvolto diverse persone del nostro paese, ognuno ha svolto attività importante sia nello studio del vitigno, nella salvaguardia nel tempo, nella analisi del Dna, nella certificazione e successiva riproduzione. Il nostro lavoro in prima persona riguarda il discorso relativo alla vinificazione, alla divulgazione, comunicazione e commercializzazione. Il semplice fatto che sia stato un lavoro corale di più persone rende il vitigno di un’importanza sociale rilevante in virtù di eventuali future collaborazioni, l’auspicio è che il vitigno diventi un punto di riferimento anche dal punto di vista economico.

Il vino si chiama Ultimo Baluardo. È destinato a rimanere tale oppure pensa che possa essere un apripista per motivare altre aziende a produrre e imbottigliare Cesanese Nero sul territorio?

Nella vita come nella Viticoltura il confronto è uno strumento per crescere e avere altre aziende nel territorio sicuramente potrebbe essere un’occasione di crescita e anche di sana competizione, perciò ci auguriamo che il nostro esempio faccia da apripista magari ad altri giovani che vogliano abbracciare il territorio e farlo crescere.

Secondo lei quale provvedimento legislativo o amministrativo aiuterebbe lo sviluppo dell’agricoltura specie in un territorio di questo tipo?

In questo momento potrebbe essere importante poter avere una denominazione di origine che identifichi il nostro territorio, in quanto dal punto di vista pedoclimatico è totalmente diverso dalla restante regione, un distinguo potrebbe esserci d’aiuto, anche se non nascondo che la certificazione  del cervim ci ha aiutato molto da questo punto di vista

Una realtà come Le Macchie dimostra che il Lazio del vino deve ancora scrivere le migliori pagine della sua storia. Qual è il lavoro da fare per far emergere i contenuti della viticoltura di questa regione?

La Qualità. La qualità nel vino, ora più che mai è un elemento imprescindibile. Purtroppo nel Lazio, come in alcune altre parti d’Italia la qualità era stata messa in secondo piano e con essa la ricerca di strade nuove, come ad esempio i nostri internazionali. Per fortuna ci sono molte realtà emergenti che si stanno orientando verso la ricerca della qualità e la scommessa sul prodotto e il territorio. L’altro elemento importante riguarda la comunicazione dei nostri vini, è importante portare i nostri vini fuori dalla nostra regione, partecipare ad eventi e seminari nella quale possiamo divulgare le qualità delle nostra regione.

Da appassionato quale sono i suoi vini preferiti e in quale territorio, regione, paese, fantasticando le piacerebbe fare il viticoltore e con quale vitigno le piacerebbe misurarsi?

Essendo sommelier ormai da quasi 22 anni ho avuto il piacere, l’onore e la curiosità di visitare le più importanti zone vitivinicole del mondo, onestamente la zona del cuore non è mai la stessa, è più probabile che ci siano produttori e vini del cuore. In entrambe i casi diventano per me fonte di ispirazione per sperimentazioni future, e ovviamente generano in me la giusta energia per poter affrontare sfide sempre più ardue.

In questo momento un territorio come quello dell’Etna è per me un territorio che genera curiosità, ed il vitigno Nerello Mascalese è quello che ultimamente mi sta generando grandi emozioni.

Per ciò che concerne l’estero Mercel Deiss è invece il produttore che mi ispira di più per la sua genialità e per la sua capacità di rappresentare il suo territorio nella maniera  meno consueta.

Bruno Fulco

 

 

 

 

 

 


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