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Bruno Serato: quando la pasta è solidarietà

Bruno Serato è lo chef di origine italiana, salito alla ribalta delle cronache italiane grazie all’opera della sua fondazione “Caterina’s Club” che aiuta i bambini che non hanno di che sfamarsi, negli Stati Uniti, in California, dove tutto sembra brillare d’oro e di ricchezza.
Come? Con un piatto italiano per eccellenza: la pasta.
Lo abbiamo incontrato in occasione della sua venuta in Italia per ritirare il premio giornalistico internazionale “Italian Talent Award”;

Ma come è possibile che nella ricca California ci siano bambini che non hanno di che nutrirsi?
Tutto il mondo è paese, ci sono in California e ci sono nei Paesi più ricchi di tutto il mondo. In ogni angolo di ogni paese c’è sempre un povero; l’importante è voler guardare. Molti non aprono gli occhi così non li vedono ma ci sono dappertutto.

Sappiamo che è stato il cuore di Mamma Caterina quel lontano 18 aprile 2005 a far nascere questa catena di solidarietà. E qualche mese fa avete festeggiato il milione di pasti consegnati; Avresti mai pensato allora di arrivare ad una quota di 1500 pasti giornalieri e che l’associazione sarebbe diventata così importante?
Effettivamente quando mia mamma Caterina ha visto tutti quei bambini che non avevano di che nutrirsi e mi ha chiesto di portare loro un piatto di pasta, si pensava che tutto si sarebbe fermato lì. È arrivato poi il secondo giorno, non ricordo neanche più come, forse perché avevo visto la gioia negli occhi di quei piccoli; è così arrivato poi il terzo giorno, e di fatto siamo arrivati al decimo anno. Alla festa per il milione di pasti ne abbiamo ribadito la casualità: siamo partiti con l’intenzione di servire solo quel piatto di pastasciutta e poi… È per questo che ripeto spesso che chiunque potrebbe fare la stessa cosa e un giorno dire: siamo arrivati al milione di pasti! Noi siamo in tutto il mondo, diversi paesi e città ma con un unico principio: aiutare i bambini.

“Caterina’s Club” non si ferma solo al cibo quotidiano, avete anche dato vita a progetti di reinserimento nella società di queste famiglie disagiate
Chi occupa le stanze di questi motel abbandonati, sono famiglie che hanno perso lavoro e casa a causa della crisi economica e che si è rifugiata lì perché non aveva altre alternative. C’è chi ci rimane un anno o due ma a volte gli anni diventano anche una decina. La prima famiglia che abbiamo spostato era lì da 12 anni! Perché anche se il lavoro si riesce a trovarlo, trovare una sistemazione è più complicato: qualsiasi contratto di affitto prevede il versamento di una cauzione pari al primo e all’ultimo mese di locazione e per raccogliere questa somma, che si aggira sui 4/5 mila dollari, devono rimanere nei motel molto a lungo. Più rimangono e peggio è per i bambini che restano in balia della parte nera dell’America, quella degli sbandati e dei delinquenti. Nei motel non ci sono cucine e, anche per le famiglie più volenterose, risulta impossibile dare ai propri bambini un pasto caldo; c’è prostituzione, gira molta droga e anche molti pedofili. Quando negli Stati Uniti prendi in affitto un appartamento, devi presentare una serie di documenti e dare determinate garanzie. Nei motel invece non c’è nessun controllo. I pedofili ad esempio, negli Stati Uniti sono schedati e chi ha commesso abusi sessuali difficilmente riesce ad avere una casa. Questi motel diventano quindi il rifugio di tutti. E più i bambini rimangono in motel, più sono esposti a questi rischi. E così abbiamo modificato il nostro progetto iniziale fornendo la cifra necessaria per il trasferimento della famiglia. Abbiamo già spostato ad oggi circa 90 nuclei per un totale di circa 500 persone. Diamo una vita completamente diversa ai genitori e diamo anche emotivamente e psicologicamente un aiuto enorme ai figli. E questa è la nostra priorità.

Una delle cose a cui tieni molto è anche la diffusione in ogni nazione di altre associazioni che si ispirino a “Caterina’s Club”.
Si. Il progetto di “Caterina’s Club” si è diffuso a livello mondiale, per il motivo che è facile farlo. Non serve un miracolo per servire un piatto di pasta ad un bambino. Nella mia regione siamo già in 12 città e in 25 punti ma c’è chi mi ha seguito a Chicago e a New York, in Texas e nella contea di Los Angeles e anche in Messico. Qui in Italia abbiamo due o tre centri: “Mamma Anna” a San Bonifacio (Vr) il mio paese d’origine, uno a Bologna e un altro a Bergamo.

Ma quanti premi e riconoscimenti hai ricevuto finora?
Sicuramente più di cento. Non li ho più contati perché sono diventati tantissimi. E mi sorprendo sempre; ma si vede che è una iniziativa che piace a molti. Il fatto di ricevere premi è comunque un parlarne e più parli della fondazione, più ci saranno persone che potranno seguire le nostre orme. Nel 2011 la CNN mi ha scelto tra i “10 eroi” dell’anno “per essere una di quelle persone che nessuno conosce ma che fa qualcosa che incide sulla vita della gente”. Questo ha avuto una grande risonanza anche qui in Italia e mi ha permesso di ricevere molti aiuti.

Italiano ma nato in Francia e volato negli Stati Uniti in giovane età alla ricerca del successo che decisamente hai trovato, con un magnifico ristorante proprio accanto a Disneyland. Quanto c’è di italiano nella cucina del tuo ristorante?
È a tutti gli effetti un ristorante italiano. L’80% dei piatti che serviamo fa parte della tradizione: rigatoni, ossobuco ad esempio e il restante 20% spazia dalla cucina americana a quella orientale. Negli Stati Uniti la cucina italiana è molto amata, lo è stata la francese per un periodo ma poi è andata in decadenza. Rimane intatto invece l’amore per i piatti italiani.

Quasi tutta la tua famiglia è qui in Italia. Riuscite a mantenere vivo il rapporto tra voi nonostante la lontananza?
Certo, sono molto legato alla famiglia. Abbiamo contatti quasi quotidiani con tutti anche se mamma Caterina non c’è più. A volte ci si manda a quel paese ma l’unione è molto forte.

Tornerai a vivere in Italia prima o poi?
D’inverno sicuramente no. Perché non sono più abituato a queste temperature ed ogni volta che arrivo mi ammalo. Ci penso, ma non credo che riuscirei a lasciare la California: si vive bene e c’è un’ottima temperatura. Io ho diverse patrie: mi sento italiano, americano e sono ancora molto legato alla Francia. Mai dire mai quindi.

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Sonia Biasin

Giornalista pubblicista, diploma di sommelier con didattica Ais e 2 livello WSET. Una grande passione per il territorio, il vino e le sue tradizioni.

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