Stile e Società

Una botte in castagno per il Chianti

Tra le essenze arboree che per prime hanno accompagnato la vinificazione italiana c’era proprio il castagno, un albero che a differenza della quercia garantisce la crescita veloce. Anche per questo, in un’Italia che non ha mai brillato per la gestione delle sue risorse boschive, era forse il legname più presente e utilizzato.

Probabilmente, prima della corsa all’emulazione della viticultura francese, i primi vasi vinari utilizzati dal Barone Ricasoli nel Castello di Brolio furono proprio le botti in castagno. Il Castello di Verrazzano sposando l’iniziativa “Provaci”, lanciata dalla Fondazione per il Clima e la Sostenibilità insieme all’Accademia dei Gergofili, proverà a riportare il Chianti alle sue origini.

Il progetto prevede di valorizzare le risorse boschive locali e l’Azienda aderirà utilizzando le botti in castagno per l’invecchiamento di parte della sua produzione. Precisamente per il Chianti Classico Gran Selezione Valdonica 2015, presentato in anteprima all’Accademia dei Gergofili da Luigi Cappellini, proprietario dell’Azienda. I contenuti del progetto sono molteplici e l’intento è quello di distinguersi nel segno della tradizione.

Sperimentare l’effetto del legno locale per una produzione Km 0 a tutti gli effetti. Un vino che sia totalmente di territorio, anche negli spiccati sentori di resina e incenso del castagno. Da non sottovalutare nemmeno le opportunità lavorative e l’incidenza sull’economia del territorio, che la lavorazione del castagno potrebbe aiutare rimettendo in moto antiche professionalità. Anche perché i numeri sono importanti, si parla di 48.000 ettari di bosco, in cui il solo castagno  può produrre 120 metri cubi per ettaro.

A dirimere i dubbi sui possibili risultati, interviene Giuseppe Liberatore a capo del Consorzio Chianti Classico. Appoggiando pienamente il tentativo di Castello di Verrazzano, ricorda che fino agli anni 60-70 del secolo scorso l’uso del castagno in Chianti era da ritenersi la normalità. Il direttore ha inoltre sottolineato la bravura dei viticultori Chiantigiani nell’utilizzare il legno senza marcare troppo il vino, abilità che permette all’uva e al territorio di far emergere le proprie caratteristiche.

Bruno Fulco

 


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