La parola ai produttori

Badia a Coltibuono e la magia dei luoghi del Chianti Classico

Una delle denominazioni più amate anche grazie alla bellezza e unicità dei suoi simboli di tradizione secolare

Ogni appassionato di vino sa a cosa si riferisce il termine “Classico” quando riferito al Chianti. Ci sono però realtà per cui il termine travalica la sua funzione di riferimento geografico per significare tante altre cose e nel caso di Badia a Coltibuono  a Gaiole in Chianti è più facile pensare che si riferisca alle sue origini risalenti al 1051.

Il nome deriva dal latino Badia a Cultusboni ovvero il culto del buono, riferito alla cultura e alle attività agricole e il nome Chianti appare nei suoi archivi già nei documenti del XII secolo. Il complesso nasce dalla donazione della Chiesa di San Lorenzo a Coltibuono,  concessa al monaco Giovanni Gualberto da una famiglia nobiliare con l’impegno che realizzasse un ospizio per i pellegrini e una residenza clericale.

In seguito fu sede di una virtuosa comunità di monaci benedettini che avversando la corruzione del clero dell’epoca, si guadagnò stima e consenso in tutto il territorio divenendone riferimento religioso e politico.

Questo stimolò altre donazioni e l’adesione di altri contadini con i loro piccoli possedimenti, che integrandosi al complesso agricolo contribuirono a raggiungere l’ampiezza della tenuta che ha attraversato la storia senza rimaneggiamenti o divisioni arrivando integra ai giorni nostri.

Un microcosmo agricolo e indipendente a cui i monaci Vallombrosini dediti allo studio, all’ospitalità e alla cura dei malati, diedero rinnovato impulso alle attività agricole in particolare alla viticoltura e alla produzione olearia, completando il profilo paesaggistico con l’introduzione di nuove specie arboree quali abete bianco e castagno,  oggi presenti nei boschi che orlano il complesso di Badia a Coltibuono. Un posto speciale e unico al mondo, che il lavoro rurale degli uomini ha tramandato nella forma più integra possibile e che oggi continua a vivere insieme alle attività che ospita e legate all’ospitalità.

Ad avviare l’era moderna la famiglia Stucchi Prinetti nel 1846 con il banchiere fiorentino Michele Giuntini che rilevò la tenuta dedicandosi alla propria cura proseguita poi attraverso diverse generazioni. Il periodo bellico fu attraversato non senza difficoltà grazie alla guida di Maria Luisa Stucchi Giuntini, affiancata poi negli anni ’50 dal figlio Piero Stucchi Prinetti che iniziò con l’imbottigliamento e la distribuzione sul mercato interno ed internazionale del Chianti Classico.

Fu lui a gettare le basi per gli sviluppi successivi fino agli anni ’80 quando  l’azienda è stata presa in mano dai figli. Per i wine lovers però Badia a Coltibuono è soprattutto quel porto sicuro in cui tutti hanno trovato conforto agli inizi della propria passione enoica.

La produzione Aziendale infatti, vicino alle linee di pregio che raggiungono l’evidenza nelle guide più blasonate, non ha mai trascurato nemmeno i vini d’ingresso che grazie alla distribuzione capillare e riuscita a mettere a disposizione di tutti anche tra i banchi della GDO.

Bottiglie dal grande rapporto qualità prezzo e grande biglietto da visita per l’introduzione ai contenuti del Chianti Classico e che ognuno menziona sempre con affetto. Abbiamo avuto il piacere di fare qualche domanda al Dr. Roberto Stucchi Prinetti, titolare ed enologo dell’Azienda Badia a Coltibuono  che ringraziamo per la disponibilità.

Luogo storico per Gaiole in Chianti e tutto il Chianti Classico e famiglia che a questo vino ha legato indissolubilmente la sua storia. Quanto  sente il senso di appartenenza per questo mondo amato da tutti i wine lovers del mondo?

Nelle scelte di gestione dei vigneti e nello stile dei vini, la “voce” di questo luogo mi ha sempre guidato con forza.   A partire dalla conversione a pratiche biologiche, iniziata già a fine anni 80 e completata nel 2000, per arrivare ai reimpianti con selezioni massali e uvaggi autoctoni. Ma anche il rispetto dell’espressione più spontanea del Sangiovese/to di questa zona, che esprime complessità, profondità, longevità, ma senza perdere la freschezza e la piacevolezza, è una delle scelte dettate ed ispirate dalla storia di Badia a Coltibuono.

Una politica di distribuzione capillare in grado di arrivare a tutti invece di puntare solo a nicchie di mercato più esclusive è stata una scelta meno comoda e più difficile da sostenere?

Ho sempre cercato canali che rendessero i vini accessibili a chi apprezza il nostro stile, senza limitarsi in altro modo.  Il nostro Chianti Classico ha sempre cercato di coltivare la sua unicità senza perdere le radici, una delle quali è anche la sua “popolarità” e facilità di beva e di abbinamento.  La Badia per secoli ha accolto i pellegrini, ora è una struttura di accoglienza turistica, gastronomica ed enologica che è sì esclusiva, ma comunque accogliente.  Qualche volta queste scelte ci hanno penalizzato, altre volte ci hanno aiutato.

Il contesto storico, ambientale e paesaggistico fanno di questa Azienda un simbolo e un patrimonio del  Chianti e del Made in Italy, quanto impegno costa e qual è il modo migliore di promuoverlo?

L’impegno è tanto, da parte di tutti i collaboratori, ma viene ripagato dalle soddisfazioni che danno i molti riconoscimenti.  Quale sia il modo migliore di promuoverlo non lo so, diciamo che abbiamo sempre cercato di farlo raccontando storie autentiche e interessanti legate a questi luoghi di grande magia ma anche molto difficili e con una storia molto complicata.

Di anno in anno Badia a Coltibuono è una presenza costante tra i successi di critica sulle guide più importanti. Oltre agli indubbi meriti del territorio quale sono gli ingredienti di questo successo che si ripete?

I nostri vini sono molto apprezzati da alcuni e meno da altri, ed è giusto che sia così.  Credo che venga apprezzato lo stile, la coerenza e la loro capacità di lasciar esprimere il Sangiovese senza troppe forzature.

Il Chianti  e il Chianti Classico hanno già espresso il massimo del loro potenziale o si può fare qualcosa per migliorare un vino e una denominazione già tra le più famose del mondo?

Io credo che come zona, usando una metafora scolastica, stiamo finendo le superiori e iniziando l’università.  Le basi sono buone ma il meglio deve ancora arrivare!  Poi l’obbiettivo è in continuo movimento perché il clima continua a cambiare e questo rimette tutto in discussione.

Quale sono secondo lei gli elementi distintivi e imprescindibili oppure cosa non deve mai mancare in un grande Chianti Classico?

La particolarità della nostra zona è la sua enorme complessità: non esiste un grande Chianti Classico, ne esistono tanti e molto diversi tra loro.   Il CC può essere colto solo nella molteplicità.

Cosa si può fare di più per comunicare al meglio il Chianti Classico in maniera distintiva  sui mercati di tutto il mondo?

Come detto sopra, il CC si racconta meglio se si accetta che ce ne siano molti, e molto diversi.   Ad esempio le 4 tipologie di vino della nostra zona (Annata-Riserva-Gran Selezione e Igt) sono 4 eccellenze distinte, difficilmente racchiudibili in una piramide.  Poi ci sono le molteplici sfumature territoriali di cui le UGA sono la punta dell’iceberg.  Infine il Sangiovese che esprime la personalità di chi lo fa più di ogni altra varietà…  e le personalità in Chianti non mancano di sicuro!

Da amante del vino oltre ai vini da Sangiovese qual è il vitigno che la intriga di più?

Da onnivoro, sia nel cibo che nel vino, non riesco a sceglierne una.  Dando per scontati Nebbiolo e Pinot Nero, amo la Barbera ed il Gamay.   E l’Aglianico allora? Sui vitigni bianchi non mi esprimo proprio…

Se per assurdo dovesse sviluppare la viticoltura in una altra regione Italiana o del mondo dove le piacerebbe confrontarsi e con quale vitigno?

Mi piacerebbe provare a lavorare col Sangiovese in Oregon, nella Willamette Valley.

Se potesse decidere un provvedimento governativo o amministrativo per favorire il comparto della viticoltura cosa metterebbe in atto?

Inizierei con la proibizione del glyphosate e smetterei di finanziare la viticoltura che non sia (almeno) certificata bio, che oggi è il minimo sindacale.

Bruno Fulco

 

 

 

 


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