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Arancione che passione … ma intanto vince il nero

Il colore arancione fino ad ora è stato il mio colore preferito.

Come il rosso e il giallo, due colori che ho amato fin da piccola, due colori solari che mi hanno accompagnato tutta la vita, dall’abbigliamento all’arredamento di casa.
Finché ho scoperto che l’arancione donava meglio con l’abbronzatura e sono stata attratta da tutto ciò che era di colore arancione, da tutto ciò che profuma di mandarino e arancia e da tutto quello che mi suscita sensazioni di solarità e di calore, dalle sfumature dei fiori a qualunque cosa di commestibile, ad un tramonto invernale.

In psicologia vengono attribuite precise caratteristiche ai colori e all’indole delle persone che prediligono uno rispetto all’altro. Riguardo a me, corrispondono abbastanza ai periodi della mia esistenza, non lo nego.

Sembrerebbe che l’arancione, fusione tra i colori primari rosso e giallo, sia il colore della pace interiore e della “meditazione” tanto che viene adoperato nelle vesti dei buddisti.

Ora, però, il colore arancione, che simboleggia anche la creatività, mi sta diventando indigesto.
Non ne posso più di sentire pronunciare la parola.

Arancione significa che non puoi muoverti fuori del tuo Comune, che la tua libertà di movimento è imprigionata, che i ristoranti chiudono e forse per sempre, che non solo i matrimoni “non sanno da fare” come gli sposi agognano, ma nessuno può festeggiare alcunché con i parenti e con gli amici!
E che l’istruzione non viene più impartita dai professori in classe, a scuola.
E per i ragazzi niente più educazione fisica, la ginnastica, niente gite scolastiche, niente esami. Fine della didattica tradizionale.
E soprattutto che i bambini non possono più stare tra di loro, niente più giochi all’aperto, niente corse per i prati, nemmeno una partitina a pallone.

Di questi tempi, ci sarebbe da mettersi a fare scommesse stile inglese, puntatine d’azzardo su quale colore vince: giallo, rosso o arancio.
Fino a quando oggi arancione? È già pronto domani il rosso!
Il bianco è il jolly.

Intanto vince il nero. Il nero dell’umore, della stabilità psichica, il nero della morte sociale.
Perché, intanto, a fronte dell’incapacità di debellare un virus con le sue innumerevoli variati (di cui ancora i cosiddetti “esperti” non capiscono la capacità di resistenza rispetto al corpo umano e forniscono prospettive tra loro contraddittorie), l’economia di un intero paese sta collassando.

Sarà sufficiente un drago a tirarci su?

Maura Sacher

 

 


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