EgNewsLa parola ai produttori

Amandum la passione che nasce dalle donne del Friuli

Anche se l’Italia è il paradiso del vino ci sono per forza zone più fortunate di altre ed il Friuli Venezia Giulia è certamente tra queste. la diversità dei profili pedoclimatici presenti sul territorio garantisce quasi ovunque le caratteristiche ideali per produzioni di livello. Se si aggiunge poi il carattere dei Friulani e la loro dedizione al lavoro, allora il mix di elementi necessario per fare ottimi vini raggiunge spesso la perfezione. Grandi e piccole aziende punteggiano il territorio, crescono, si evolvono e si reinventano componendo un panorama di altissima qualità.

Tra queste Amandum vede la luce nel 2013 quando i fratelli Enrico e Carlo Alberto Agostinis, dopo quasi 30 anni, decidono di riprendere un’attività radicata nella cultura della loro famiglia. La storia con il vino la iniziò Enrico, nonno dei due attuali proprietari, che acquistò le vigne a metà degli anni ‘50 del secolo scorso. La produzione di vino arrivo fino al 1992 caratterizzata da una forte connotazione femminile. Condussero l’Azienda prima Bianca e poi la figlia Anna, imponendosi caratterialmente in un mondo che ai tempi non prevedeva iniziative imprenditoriali al femminile.

Oggi i nipoti hanno ripreso ad imbottigliare le loro uve, dando seguito alla passione e all’eredità culturale delle donne di famiglia e dedicandogli il nome dell’azienda che prosegue nel solco da loro tracciato. Amandum  situata in quel di Moraro nella provincia Goriziana, si trova in una condizione felice dal punto di vista pedoclimatico, grazie alla presenza del fiume Isonzo che mescola ghiaia, ciottoli e argilla rossa ricca di minerali, con presenza di ossido di ferro e di alluminio .

Le Alpi Giulie e la vicinanza all’Adriatico completano il quadro, garantendo un clima temperato con escursione termica ideale per la vite soprattutto dal punto di vista aromatico. L’età dei vigneti va dai 30 ai 70 anni e le più vecchie sono coltivate a Merlot e Friulano, mantenendo basse le rese per assicurare ai vini un alto profilo qualitativo, aspetto fondamentale per l’Azienda, che traspare anche delle impressioni che abbiamo potuto scambiare con l’Avv. Enrico Agostinis, uno dei suoi conduttori:

E: Alle origini dell’Azienda la grande passione di due donne in un’epoca in cui il vino era declinato al maschile. Nella conduzione odierna dell’Azienda è rimasta ancora in qualche aspetto  l’influenza di  quella visione forte e gentile tutta al femminile?

A: Non c’è degno futuro senza la consapevolezza di quanto impegno è stato profuso nel passato, da chi ci ha preceduto ed indicato la via. Di questa memoria, declinata al femminile, l’Azienda è rimasta fieramente intrisa, ed anche oggi ripropone con orgoglio figure di donne in ruoli chiave. La tradizione, con grande nostra soddisfazione, continua.

E: Il territorio in cui si estende l’Azienda è sicuramente vocato e generoso per la produzione di ottimi vini. Qual è la vostra formula di conduzione dei vigneti per assicurarsi di trarre il meglio dall’ambiente e rispecchiarlo nei vostri vini?

A: Siamo fortunati perché ci troviamo nel luogo giusto, per clima e per caratteristiche del terreno, per la produzione di grandi vini. Guardiamo con rispetto massimo alla natura che ci ospita ed alle viti che i vini ci regalano. Cerchiamo di evitare loro ogni tipo di stress, idrico o nutritivo, nella consapevolezza che ciò avrebbe ripercussioni, piccole o grandi, sulla qualità della bacca e quindi del vino.

E: Nella storia dell’Azienda la data del 2013 segna l’inizio della produzione oggi diretta dalla generazione dei nipoti dei fondatori. Probabilmente è la data in cui si è deciso il passaggio tra conferitori di uve a produttori. Cosa motiva una decisione così importante in grado di modificare impegni e sforzi? Da dove nasce la voglia?

A: Già in passato, e per lungo tempo, l’Azienda produsse vino. Poi si è limitata a produrre e conferire le uve. Direi che centrale e decisivo nel riprendere l’antico cammino siano stati proprio il ricordo ed il recupero di questa ricca storia, assieme al piacere di produrre una bevanda che è il miglior testimone delle bellezze e delle caratteristiche del territorio e dell’impegno profuso nella coltivazione. È innegabile infatti riconoscere che produrre vino rappresenti un valore aggiunto, e costituisca un’attività nobile che si inserisce oltretutto nel solco della grande storia vitivinicola italiana. Sono questi gli aspetti più centrali che ci hanno ispirato e spinto ad una sfida sicuramente più onerosa ed impegnativa, ma molto più appagante e gratificante.      

E: Dei vitigni della vostra base ampelografica qual è quello che vi da più soddisfazioni o al quale siete più affezionati e perché?

A: Non vorrei dare preferenze a quelli che sono tutti figli egualmente amati. Però, visto che alla gentile domanda và doverosamente data risposta, scandagliando nelle pieghe dell’anima posso confessare che tra tutti, e andando contro corrente rispetto alla vulgata che vuole il Friuli Venezia Giulia solo ed esclusivamente terra di grandi bianchi, avverto particolare predilezione per una vecchia vigna di Merlot che, grazie proprio caratteristiche specifiche del territorio che ci ospita, regala prodotti di altissima qualità, con ciò confermando che la nostra bella Regione è vocata anche per i grandi vini rossi. E poi questa antica vigna ha un posto particolare nel mio cuore, posto che ricordo bene quando fu piantata; lo fu direttamente sotto la conduzione di mia nonna. Questo la rende a me speciale, in quanto memoria vivente di chi fu. E rammento bene che fu piantata portando e stivando le barbatelle su di un carro trainato da cavalli, allora presenti nell’Azienda ed utilizzati ovviamente come usuale mezzo di trazione. Insomma, sempre viva il Merlot!

E: Il Friuli Venezia Giulia è certamente tra quelle da annoverare come esempio nella produzione dei bianchi, un modello preso d’esempio su tutto il territorio nazionale.  Come esperti di questa tipologia, quali sono secondo lei i vitigni italiani a bacca bianca più interessanti e con le migliori prospettive di sviluppo tra quelli al di fuori della vostra regione?

A:Guardando al territorio nazionale, sicuramente una delle uve che già oggi regala risultati importanti ad ogni latitudine del nostro differenziato Paese è lo Chardonnay, vitigno straordinariamente adattabile e particolarmente reattivo alle diverse condizioni del territorio in cui viene coltivato. È una bacca che raggiunge alti e sempre diversi livelli qualitativi, in ogni punto della nostra penisola: basti ricordare le grandi espressioni che offre, ad esempio, in Sicilia e lungo tutto lo stivale.

E: I vostri vini hanno saputo guadagnare il favore della critica sin da subito. Per conseguire questi risultati oltre alla qualità quanto pesano aspetti come comunicazione, marketing, packaging, eventi, guide, ecc?

A: Questi aspetti sono importantissimi perché resta vera la regola secondo la quale “il vestito fa il monaco”. Al di là della facile citazione, è sicuramente giusto riconoscere che gli aspetti della comunicazione, del marketing, del packaging, degli eventi, delle guide, sono tutti ineludibili per la buona sorte del “prodotto vino”. E ciò è ancor più vero alla luce della sempre maggiore visibilità che il vino ha nella vita quotidiana del consumatore. A tutti questi momenti, a tutte queste fasi bisogna dunque guardare con doverosa attenzione, ed in essi bisogna pertanto impegnarsi con la stessa professionalità che sappiamo esprimere in campo ed in cantina.

E: E ancora sulle politiche di comunicazione: pensa che l’esperienza recente del Covid19 possa aver cambiato il  modo di comunicare il vino e di incontrare i consumatori? Ed eventualmente in che modo?

A: Personalmente non credo che l’esperienza recente del Covid-19 abbia inciso e possa incidere sulle politiche di stretta comunicazione. Sono invece convinto che la comunicazione relativa al vino debba alimentarsi ed incentrarsi soprattutto sulla consapevolezza del doveroso e naturale rispetto della natura e dei luoghi da parte dell’agricoltore che coltiva le uve. Questo messaggio universale abbiamo  l’obbligo di divulgare per il bene specifico del vino, che da tale rispetto nasce e trova forza, ma anche per una umanità più consapevole del mondo di cui è ospite.

E: Se potesse essere nella cabina di regia in cui si progettano provvedimenti e politiche per lo sviluppo del settore, in quale direzione lavorerebbe? Quale aspetto normativo, legislativo o produttivo sarebbe la sua priorità anche alla luce dei danni prodotti dalla pandemia appena passata?

A: Per queste considerazioni vi sono le associazioni di categoria, che svolgono un ruolo davvero prezioso. Credo sia giusto lasciare spazio a questi organismi, che hanno al loro interno capacità e risorse per sviluppare le riflessioni più corrette ed esprimere le conclusioni preziose per il mondo del vino. Personalmente, se dovesse essere singolarmente richiesta una risposta, riterrei opportuna, soprattutto, la detassazione dei rapporti di lavoro; ed insisterei per una detassazione  ancor più importante se correlata all’ assunzione di lavoratori di fascia giovane. Lo riterrei un intervento intelligente, che favorirebbe l’occupazione giovanile e consentirebbe agli imprenditori agricoli di sviluppare ancora meglio la loro attività, ed assicurerebbe infine continuità alla grande tradizione che l’Italia vanta da sempre nel vino e nell’agricoltura di qualità.

E: C’è un vitigno di cui è appassionato che per caratteristiche pedoclimatiche non può produrre ma gli piacerebbe coltivare? oppure la sua attenzione è rivolta esclusivamente alla base ampelografica locale?

A: Personalmente sono e resto appagato dai vitigni tradizionali che ci regala la nostra Regione. Mi spiace al momento di non aver ancora una vigna di Malvasia, ma realizzeremo in futuro questo bell’obiettivo. Guardando ad altre latitudini e ad altri vitigni, la mente torna alla Sicilia, regione importante a cui dobbiamo molto. Storicamente da lì e dal contributo dei tanti popoli che per millenni ne hanno fatto la storia, deriva l’introduzione di tanti vitigni che si sono poi espansi lungo tutta la dorsale della penisola. E guardando a quella bella isola, penso con positiva invidia ai vitigni dello Zibibbo o Moscato d’Alessandria, ed alla Malvasia, bacche che danno vita a grandi vini come il Passito di Pantelleria e alla Malvasia delle Lipari.

Bruno Fulco


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