
Riscopriamo i piatti della nonna

Tortel de patate, strangolapreti, smacafam, tonco de pontesel, fasoi en brozon, sguazet che fa rima con…orzet. Sono alcuni piatti trentini della cucina contadina di un tempo. Una cucina spesso etichettata con il termine spregiativo di cucina “povera”. Ma vogliamo scherzare?
Tortel de patate, strangolapreti, smacafam, panada, gnocchetti di griez, sguazet che fa rima con… orzet. Sono alcuni degli innumerevoli piatti trentini della cucina contadina di un tempo. Una cucina spesso etichettata con il termine spregiativo di cucina “povera”.
Una cucina – questo sì – spesso di sopravvivenza fatta di pochi ingredienti, anche i più umili, ma ricca di inventiva.
Ingredienti umili che le nostre nonne, pur nel contesto di un territorio di montagna spesso aspro e soprattutto in tempi di ristrettezze economiche, guerre e carestie, hanno saputo trasformare in pietanze succulente.
Pietanze che, ripescate da qualche vecchio ricettario o per tradizione orale, molti ristoranti, trattorie e agritur, dopo l’ubriacatura della “nouvelle cuisine”, della cucina “etnico-esotica“, della cucina “molecolare“, della cucina “fùsion” (che ho ribattezzato «cucina confùsion») oggi ripropongono come piatti della tradizione.
Ora anche i ristoranti stellati riscoprono lo “Smacafam”

Uno di questi piatti popolari è lo “Smacafam”, parola dialettale che significa letteralmente pietanza che “batte la fame”, cioè placa i morsi della fame.
Riportato agli onori delle cronache da una benemerita Confraternita gastronomica, lo “Smacafam” altro non è che una torta rustica salata la cui ricetta varia da vallata a vallata, da paese a paese, da famiglia a famiglia.
Per quanto riguarda la scelta degli ingredienti c’è chi usa la farina bianca, chi la farina gialla, chi la farina di grano saraceno o tutte e tre insieme. Altri ancora utilizzano il pane raffermo.
Su un ingrediente non esistono discussioni: la lucanica trentina (“luganega”), che va sbriciolata nell’impasto e poi stesa a rondelle sulla superficie. Altri ingredienti: il latte, le uova e lo strutto. Oggi molte trattorie propongono lo “Smacafam” non solo a Carnevale, ma tutto l’anno come “appetizer” o benvenuto della cucina.
In Val di Non è il “Tortel de patate” il re indiscusso della tavola

In Val di Non, nel regno di Melinda, è Sua Maestà il “tortel de patate” il re indiscusso della tavola contadina. Le patate – come noto – arrivarono in Italia, dalla Spagna, nella seconda metà del Cinquecento. Ma delle prime coltivazioni, in via sperimentale, si ha notizia solo un secolo dopo.
Destinatari di questo tubero erano gli animali. Solo a fine Ottocento le patate entrarono in cucina. In Trentino molte sono le ricette che hanno la patata come protagonista, in particolare nelle valli di Non e Sole. Uno dei piatti tipici è il “tortel” di patate, piatto proposto, assieme alla torta di patate, in molti ristoranti.
Piatto valorizzato da una Confraternita gastronomica presieduta dal Gran Maestro Mario Tonon che nella scelta delle patate raccomanda quelle a pasta bianca, in particolare le Kennebec e le Majestic. Viene proposto con un tagliere di affettati, formaggi, fagioli borlotti e un’insalata di cavoli cappucci (“capussi”).
La “mosa”, la “trisa” e la “panada” con pane raffermo, burro e pepe
Altri piatti della nonna sono la “Mosa” e la “Trisa”, piatti che non sono sinonimi come giustamente tiene a precisare Anna Lucia Bauer nello storico volume sulla Cucina Trentina (Reverdito editore).
La “Mosa” è preparata con la farina bianca, la “Trisa” con la farina gialla.
Le accomuna il fatto che entrambe sono nient’altro che delle farinate. Quanto mai umili gli ingredienti: acqua, latte, farina e sale. Durante la cottura entrambe dovevano essere “trisade”, cioè mescolate bene affinchè non si bruciacchiassero.
A cottura ultimata, venivano insaporite con un po’ di burro… almeno chi, in tempi di carestia, poteva permetterselo. La “Panada”, invece, lo dice il nome stesso, è una zuppa di pane (raffermo) insaporita con del burro, una spolverata di formaggio grana e una macinata di pepe.
E per accompagnare il Goulasch ecco gli Gnocchetti di griez
Gli Gnocchetti di griez, ecco un’altra gustosa e storica ricetta della cucina contadina. Sono usati come contorno per accompagnare alcuni piatti di carne: il “Goulasch” e il “Tonco de pontesel”, ad esempio.
Ingredienti: latte, burro e semolino (griez). Quest’ultimo va aggiunto durante la bollitura mescolando bene finchè si otterrà una sorta di polentina tenera.
Messa a raffreddare in una terrina, quando la polentina sarà tiepida, vi si aggiungeranno due uova.
Ultimo passaggio: la creazione degli gnocchetti (non troppo grossi) che saranno versati nel brodo, bollente, per dieci minuti.
Gli “Strangolapreti”, ghiottoneria amata da parroci e alti prelati
E’ uno piatti più gettonati della tradizione contadina del Trentino. Gli “Strangolapreti” altro non sono che dei gustosi gnocchetti a forma di “quenelle” preparati con pane raffermo, spinaci e uova.
Si condiscono con burro fuso e una spolverata di Trentingrana grattugiato. Il nome – racconta con un pizzico di cattiveria la vulgata popolare – deriverebbe dal fatto che i parroci di paese, ma anche gli alti prelati mangiassero questa ghiottoneria con tale avidità che rischiavano di rimanere soffocati.
Ahimè l’ingordigia dei buongustai gaudenti e impenitenti.
I “Fasòi en bronzon” con il cotechino, altro peccato di gola

Altro piatto peccaminoso della tradizione contadina sono i “Fasòi en bronzon” che figurano nei menu di molte trattorie. Ingredienti: un cotechino, ortaggi e fagioli borlotti che vanno messi in ammollo per almeno 12 ore e poi cotti in abbondante acqua per un’ora a fuoco lento.
Ultimata la cottura, ai fagioli va aggiunto il cotechino con una cipolla, la carota, il sedano e una costa d’aglio sminuzzati.
A questo punto si aggiunge del vino rosso mantenendo un fuoco vivace per qualche minuto, quindi l’acqua di cottura dei fagioli, il concentrato di pomodoro, le foglie d’alloro e il cotechino tagliato a fette. A fine cottura (30 minuti) un pizzico di sale e pepe. Una bontà.
Il “Tonco de pontesel” e lo “Sguazet” con la polenta

Il “Tonco de pontesel” è uno spezzatino a base di carni miste di maiale, manzo e vitello arricchito con brodo, spezie, lardo (o pancetta) e alcune fette di lucanica fresca. Va servito con la polenta.
In dialetto trentino “tonco” significa intingolo e “pontesel” poggiolo. Il nome “Tonco de pontesel” deriva dall’abitudine di un tempo quando, mancando i frigoriferi, i cibi cucinati si mettevano all’aperto fuori dalla finestra o sul “pontesel”, il poggiolo o balcone di casa.
Lo “Sguazet”, riscoperto di recente (in Trentino è stata fondata, in suo onore, anche una Confraternita gastronomica), è un piatto a base di frattaglie: trippa, rognoni, cuore, polmone, milza, fegato, reni, testicoli, mammelle. Insomma, altro non è che il famoso quinto quarto, ovvero tutto ciò che non rientra nei quattro tagli principali (anteriori e posteriori) dell’animale. Le frattaglie vengono prima pulite e rifilate, poi tagliate a pezzetti e fatte brasare in un soffritto di verdure tritate e alloro. Viene servito con la polenta o le patate lesse.
Arrigo Cipriani: “Al bando la cucina spettacolo creata solo per stupire”
Recentemente ho avuto l’opportunità e il piacere di incontrare all’Harry’s Bar di Venezia il patriarca della ristorazione italiana, Arrigo Cipriani, 93 anni portati con la baldanza di un giovanotto. Una figura mitica che oggi, con il figlio Giuseppe, è a capo di un impero di 27 ristoranti in Italia e nel mondo: da New York a Montecarlo, da Los Angeles a Istanbul, da Città del Messico a Dubai, da Londra a Hong Kong, da Miami a Ibiza.
Parlando di cucina, il discorso è scivolato sui profeti della cucina spettacolo, dei reality show che impazzano sulle reti televisive di mezzo mondo dall’alba al tramonto e dal tramonto fino a notte fonda.
«Basta con questa ubriacatura – mi ha confessato – al bando la cucina spettacolo spacciata per novità e creata solo per stupire. L’Italia vanta un patrimonio di saperi e di sapori unico al mondo. Sono le ricette delle nostre nonne e della nostre donne di casa. Sono le ricette della tradizione che hanno fatto la fortuna delle vecchie trattorie di campagna e di città, soprattutto quelle a conduzione familiare, dove il pane profuma di pane, l’arrosto sa di arrosto, le minestre e le tagliatelle fatte in casa ricordano i sapori di un tempo”. Parole sante, che molti ristoratori di casa nostra stanno mettendo in pratica attraverso la riscoperta e la valorizzazione di antiche pietanze del passato.
A questo punto, che altro aggiungere? Buon appetito. E in alto i calici. Prosit! (GIUSEPPE CASAGRANDE)
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