
Sul palcoscenico del vino Laziale sempre più in fermento, nel corso degli anni e sulla scia dei risultati ottenuti dalla Docg Cesanese del Piglio anche i vini di Olevano Romano hanno guadagnato la loro luce.
Siamo nella provincia Romana tra i monti Prenestino-Lepino-Ernici ad un’altitudine di m.570 s.l.m. immersi tra vigneti ed uliveti in un territorio abitato sin dai tempi dell’antica Roma che del vino ha sempre fatto una delle sue prerogative maggiori, ma che nel tempo ha saputo operare una trasformazione straordinaria uscendo dall’ambito locale per andare a ritagliarsi il suo posto sulle piazze italiane e all’estero.
Su questi terreni collinari viene coltivato prevalentemente il Cesanese, uno dei pochissimi autoctoni a bacca rossa del Lazio. Esattamente il Cesanese di Olevano derivante dalla varietà di Affile, una volta vinificato dolce ed abboccato e tanto caro ai nonni di tutti i romani di oggi, ma decisamente fuori dai radar per gli appassionati di vino delle ultime generazioni. Ad oggi il disciplinare di produzione per il Cesanese di Olevano prevede la possibilità di piccole quote di uve a bacca bianca per aumentare il tenore di acidità.
Lorenzo Migrante e sua moglie Luciana sono tra le migliori espressioni della nuova generazione di viticoltori, che facendo tesoro della lunga tradizione locale ha traghettato il Cesanese di Olevano nei tempi moderni sviluppandone il potenziale. Sempre presenti ad ogni evento e degustazione in prima persona, per spiegare con passione i loro vini e il contesto in cui nascono.
La loro produzione si attesta sugli 80 quintali per ettaro per una resa massima del 65%. I vigneti si estendono su un territorio collinare di origine vulcanica di composizione mista limoso e argilloso con quote calcaree, che insieme alle costanti escursioni termiche fornisce un clima favorevole al profilo organolettico dei vini.
A Lorenzo Migrante abbiamo avuto il piacere di rivolgere qualche domanda:
Nel 2000 la grande decisione insieme alla Signora Luciana di dedicarsi anima e corpo al vino. Venivate già da questo mondo oppure è stata una scelta improvvisa e cosa vi ha spinto ad un certo punto nel tentare questa strada?
Si venivamo già da questo mondo. La nostra famiglia e il nostro territorio in generale ha sempre avuto una grande tradizione contadina. La vigna ha sempre fatto parte della nostra quotidianità e la vendemmia è sempre stata vissuta come una festa. Nel 2000 abbiamo deciso di trasformare questa passione in lavoro con la missione di far emergere le potenzialità enogastronomiche che il nostro territorio aveva conservato per secoli.
All’attività oggi prende parte anche suo figlio; in questa convivenza generazionale le vostre visioni di viticoltura vanno d’accordo o creano occasioni di dibattito?
Sicuramente viviamo attimi di incomprensioni e di dibattito, ma sono sempre costruttivi e necessari un confronto tra generazioni. La nostra visione di viticoltura è comunque la stessa, ovvero il rispetto della natura e il minimo intervento in cantina.
Quest’anno sono 25 anni di attività, una data importante. Tracciando un primo bilancio di questa avventura cosa direbbe? E quale sono stati i momenti più importanti?
Sicuramente il bilancio è positivo. Ad oggi abbiamo una clientela stabile che ci permette di avere sicurezze economiche e finanziarie. Non saprei riconoscere momenti più importanti di altri. È stato frutto di tante piccole decisioni e avvenimenti che ci hanno portato a dove siamo oggi.
E a questo punto nella corsa ai prossimi 25 anni di attività è d’obbligo chiederle, come si immagina la Società Agricola Migrante?
Sicuramente in crescita date le nuove opportunità che il mondo ci offre. Sia dal punto di vista tecnologico che dal punto di vista di come il vino viene percepito. Non più come un alimento ma come un’esperienza sensoriale in cui immergersi.
Dal 2000 ad oggi quali progressi ha fatto Il Cesanese di Olevano e quali secondo lei sono le prospettive future per questa Doc?
Partivamo da un momento storico in cui il Cesanese era visto come un vino da tavola di medio-bassa qualità. Grazie al nostro impegno e di tutte le altre aziende che hanno deciso di imbattersi nella nostra stessa missione ci troviamo oggi con una Doc che comincia a farsi conoscere. Il Cesanese è un vitigno di qualità che sa esprimere un grande potenziale.
Un vitigno che ha già espresso un grande potenziale, si può aiutare a spingersi ancora oltre oppure ha già toccato il massimo del suo livello qualitativo possibile?
Io penso che si potrà solo migliorare grazie alle nuove filosofie vitivinicole che stanno emergendo sempre più improntate al rispetto della natura e alla sostenibilità. Per non parlare poi delle novità tecnologiche che il nostro momento storico ci offre.

Oggi “sostenibilità” è una delle parole chiave anche nel mondo del vino. Come si sposa con tecnologia e tradizione?
Cercando di prendere questa parola chiave e trasformarla in un punto fisso nella nostra mente. Il mondo è la nostra casa e dobbiamo prendercene cura, oggi giorno qualsiasi progetto che non si preoccupi del concetto di sostenibilità ambientale è destinato all’autodistruzione.
Il Sigillum è l’unico in cui viene impiegato il legno ricercando una maggior eleganza e complessità, Consilium invece regala un Cesanese tutto frutto e sorso gustoso. In comune condividono il livello qualitativo ma quale secondo lei rappresenta maggiormente l’anima del Cesanese?
Beh sicuramente direi che la vinificazione solo in acciaio esprime le qualità più pure del Cesanese in quanto l’acciaio non rilascia alcun sapore lasciando quindi inalterate le qualità organolettiche. Con il legno si cercano di esaltare queste qualità ottenendo un vino più complesso.
Il Cesanese del Piglio ha indicato una direzione qualitativa che Il Cesanese di Olevano ha saputo seguire. Cosa ne pensa della possibilità di una doc unica tra i due territori? Sarebbe un’opportunità, oppure una limitazione dell’espressione territoriale?
Mah, io penso che l’unione faccia la forza e potrebbe essere un buon obiettivo per le nuove generazioni. Senza trascurare la Doc di Affile.
Fantasticando, se non avesse fatto il viticoltore ad Olevano Romano, dove le sarebbe piaciuto farlo e con quale vitigno avrebbe voluto cimentarsi?
Mi affascina molto la cosidetta viticoltura eroica. Mi sarebbe piaciuto piantare un vigneto in montagna. Magari proprio il Cesanese!
Bruno Fulco
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