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Arrigo Cipriani contro la cucina spettacolo: “Spegnete la tv, c’è una trattoria che vi aspetta”

Alla soglia dei 90 anni il patriarca della ristorazione italiana e mondiale lancia un anatema: basta con questa ubriacatura televisiva di chef stellati e non.

Impazzano sulle reti televisive di mezzo mondo dall’alba al tramonto e dal tramonto fino a notte fonda. Sono i profeti della “nouvelle vague” culinaria, i protagonisti dei reality show, della cucina spettacolo: Master Chef, Hell’s Kitchen, Chef’s Table, Cake Star, Best Bakery e via elencando.

“Basta con questa ubriacatura narcisistica, non ne possiamo più” tuona il patriarca della ristorazione italiana, Arrigo Cipriani, nume tutelare del mitico Harry’s Bar di Venezia, ormai prossimo al traguardo delle 90 primavere.

E aggiunge sprezzante: “Dal momento che tutti questi chef (parola che odio, chiamiamoli cuochi, io mi definisco un umile “bettoliere”) sono in tv a tutte le ore del giorno e della notte, mi domando: chi cucina nei loro ristoranti? Il mio consiglio? Spegnete la tv, c’è una trattoria che vi aspetta”. 

 Arrigo Cipriani lancia un anatema anche nei confronti di molte guide e di molti critici enogastronomici. In particolare prende di mira la famosa guida francese dei copertoni (lui chiama così la Michelin) che dopo aver gratificato negli anni Ottanta l’Harry’s Bar di Venezia con il prestigioso riconoscimento delle “due stelle”, il padre Giuseppe mandò al diavolo gli ispettori francesi (imitato qualche anno dopo dal “divin” Gualtiero Marchesi) ribattezzando polemicamente la sala da pranzo “Il ristorante delle 7 stelle”.

 

Oggi la famiglia Cipriani (Arrigo e il figlio Giuseppe II) vanta un impero di 27 ristoranti, non solo in Italia: New York, Montecarlo, Los Angeles, Istanbul, Città del Messico, Dubai, Londra, Hong Kong, Miami, Ibiza.

“Sono orgoglioso – confessa – di aver ospitato all’Harry’s Bar in calle Vallaresso e a Torcello, alla Locanda Cipriani, numerosi capi Stato (nel 1961 anche la regina Elisabetta). Premi Nobel, scienziati, grandi scrittori (da Hemingway a Truman Capote, da Bacchelli a Piovene, da Dino Buzzati a Goffredo Parise), divi del mondo del cinema e dello spettacolo (Greta Garbo, Humphrey Bogart, Gary Cooper, Orson Welles), miliardari (Barbara Hutton, l’Aga Khan, Peggy Guggenheim, il barone Filippo de Rothschild, solo per citarne alcuni).

Ma soprattutto sono orgoglioso di aver portato in ogni angolo del mondo la cucina italiana e le nostre eccellenze: il pane, la pasta, la mozzarella, il prosciutto, i formaggi, i carciofi, il nostro olio, i nostri vini, il nostro Bellini, i nostri piatti della tradizione: risi e bisi, pasta e fasioi, gli gnocchi, la trippa, il baccalà, il carpaccio (invenzione di mio padre) e mille altre specialità.

Prodotti e ricette che esaltano un patrimonio di saperi e di sapori unico al mondo. Sono le ricette delle nostre nonne e della nostre donne di casa. Sono le ricette della tradizione che hanno fatto la fortuna delle vecchie trattorie di campagna e di città, soprattutto quelle a conduzione familiare, dove il pane profuma di pane, l’arrosto sa di arrosto, le tagliatelle fatte in casa con il ragù ricordano i sapori di un tempo.

Niente ricette arzigogolate, incomprensibili ai più. Al bando i piatti adagiati su un “letto” di petali di rosa o di scarola soffiata”.

 

Anche per questo desiderio ancestrale di tornare ai sapori della tradizione senza rinunciare all’innovazione, Arrigo Cipriani ha lanciato una guida-non-guida (senza pagelle e classiche di merito) che comprende una selezione di locali delle Tre Venezie e dintorni (oltre 200) che possono fregiarsi dell’appellativo di “Trattoria del Cuore”, riconoscimento decretato dai clienti, più che dai critici gastronomici.

il titolo della pubblicazione “Non sono quelli delle stelle” riassume le caratteristiche che queste trattorie devono avere.

Al primo posto vi è l’accoglienza (il sorriso, il calore di un saluto affettuoso, l’amore nella preparazione delle pietanze) e poi tutto quello che contribuisce a essere felici a tavola: la scelta dei piatti (normali, rotondi, non avveniristici), il bicchiere giusto, i tavoli ben distanziati, le sedie (comode), il piacere della conversazione senza dover alzare la voce per colpa di un fastidioso sottofondo musicale, ma soprattutto un menu essenziale, senza tanti fronzoli, con le proposte del giorno.

Proposte che devono rispondere a due soli comandamenti: la leggerezza e la delicatezza. Con un’avvertenza ai cuochi: nella nostra cucina – sottolinea Cipriani – tutto è già stato inventato. L’importante è fare bene le cose che conosciamo, senza aggiungere ingredienti che non fanno parte della tradizione.

Semplicità, dunque. E al bando la cucina spettacolo spacciata per novità e creata solo per sbalordire gli “allocchi”, chiosa Cipriani. E allora evviva le trattorie che – al pari della dieta mediterranea e della pizza napoletana – hanno tutte le carte in regola per entrare nella lista dei beni dichiarati dall’Unesco “Patrimonio dell’Umanità”. In alto i calici. (GIUSEPPE CASAGRANDE)


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