
ViniMilo, l’italia del vulcano chiama New York
A ViniMilo 2025 il passato, il presente ed il futuro dei vini vulcanici, una conferenza a livello internazionale, organizzata dall’azienda Villagrande di Marco Nicolosi per capire le dimensioni e le prospettive di quella che ormai è diventata una vera categoria nell’articolata offerta enologica.

Finalmente torniamo a parlare del vino dopo mesi distratti da dazi e problematiche commerciali, esordisce così un motivato Giulio Somma, direttore del Corriere Vinicolo, nell’aprire un intenso dibattito sul futuro dei vini realizzati sui suoli a matrice vulcanica che ha visto la partecipazione attiva dei principali territori vulcanici italiani dal Trentino alla Sicilia passando per Veneto, Toscana, Lazio e Campania per un confronto diretto con giornalisti e comunicatori che parlano al mondo.

Subito sul tavolo gli obiettivi di questo incontro fortemente voluto da Marco Nicolosi dell’Azienda Villagrande che da sempre é particolarmente sensibile dal suo straordinario punto di osservazione a queste tematiche.
Un appuntamento inserito, come da tradizione, nel nutritissimo programma della 45ma edizione della Vini Milo coordinata direttamente dal sindaco Alfio Cosentino.
Somma facendo sintesi degli obiettivi della conferenza evidenza tutti i valori ormai consolidati dei vini realizzati su suoli che hanno elementi geologici, fisico chimici, e storici unici, valori che si trasmettono ai vini conferendo loro un carattere distintivo e riconoscibile semplificando la comunicazione verso i consumatori.
Elementi identitari e valori certi che sono il sogno di tuti i prodotti vinicoli al mondo.
Una magica consonanza iscritta da sempre nella storia di questi territori.

Realtà produttive quindi che in questa contingenza difficile possono trovare risposte nuove senza tradire l’identità del prodotto.
La domanda quindi viene spontanea, come mai con queste premesse la presa di coscienza dei produttori nel dare vita al movimento dei vini dei vulcani parte solo nel 2009?
Come mai questo patrimonio non viene valorizzato dall’intero sistema del vino italiano?
Una provocazione subito raccolta da Gianpaolo Girardi fondatore di Proposta vini, un’azienda di distribuzione internazionale che ha da sempre una particolare attenzione per questa tipologia di vini dedicandole un’apposita sezione nel loro catalogo.
Nel corso dei secoli, spiega Girardi, l’attività eruttiva dei vulcani ha modificato e plasmato il paesaggio in maniera originale e peculiare, in Italia particolarmente.
Pensiamo ai crateri diventati bacini di laghi come Bolsena, Bracciano, Averno, Monticchio e tanti altri.

Per i napoletani il Vesuvio è uno stato d’animo e per i catanesi l’Etna è la Montagna. Il fatto che oggi esistano ancora vulcani in attività (Etna, Stromboli e Vulcano) e zone attive di bradisismo (Campi Flegrei) contribuisce ad arricchire ulteriormente l’elenco delle unicità di questi territori.
Alcuni vulcani stanno dormendo (Colli Albani, Vesuvio, Ischia, Lipari, Pantelleria, Isola Ferdinandea) ma potrebbero eruttare in qualsiasi momento.
Per ragioni legate alla composizione geologica dei suoli, all’esposizione e alla stessa ubicazione geografica e alle straordinarie e variegate tradizioni produttive i vini provenienti da uve coltivate sui terreni vulcanici sono unici.
Ci sarebbero quindi tutte le premesse per essere presentati nella maniera migliore al consumatore ma purtroppo spesso tutti questi valori ormai ben noti ai produttori ed ai distributori sembrano perdersi o appannarsi nel momento in cui il vino arriva alle enoteche o al ristorante, che sono l’ultimo passaggio prima del consumatore e in questa direzione credo che ci sia ancora molto da fare.

Una sottolineatura raccolta anche da John Szabo, Master Sommelier, vero esperto dei vini vulcanici ed autore di Volcanic Wines: Salt, Grit and Power vero libro cult su questo tema chiamato a fare il quadro internazionale di questo fenomeno.
Di norma alla parola “vulcano” si associa una immagine di una montagna di forma piramidale, spoglia di vegetazione, con la sommità coperta di neve e con un pennacchio di fumo, esordisce Szabo, sebbene questa sia una tipologia molto diffusa, numerose e diverse sono le manifestazioni di attività eruttiva che provocano la formazione di edifici vulcanici dalla morfologia molto diversificata.
Esiste inoltre un rapporto molto stretto tra l’attività di un vulcano e le caratteristiche fisico-chimiche del magma e tra questo ed il suolo a cui ha dato origine. I suoli vulcanici sono infatti distribuiti prevalentemente lungo i bordi delle placche tettoniche o in loro prossimità.
Tra le principali zone vitivinicole mondiali costituite quasi interamente da questo tipo di suoli possiamo elencare Napa Valley (California), Casablanca Valley (Cile), Santorini (Grecia), Kaiserstuhl (Germania), Isole Azzorre e Madeira (Portogallo), Alture del Golan (Syria/ Israele), Yarra Valley (Australia).
In Italia i principali distretti produttivi di questo tipo si trovano nel Soave, nella zona del Vesuvio e dei Campi in Campania, sull’Etna e a Pantelleria in Sicilia, nella zona di Mogoro in Sardegna, nelle isole Eolie, oltre che nella zona del Frascati nel Lazio e attorno al lago di Bolsena, dove gravitano le zone di produzione dell’Orvieto, del Montefiascone e di Pitigliano.
Tutte aree a fortissima vocazione vitivinicola e caratterizzate da produzioni di assoluto pregio.
È evidente quindi che esiste una relazione tra suoli composti da basalti, tufi, pomici e la ricchezza gustativa e l’equilibrio che si riscontra normalmente nei vini ivi prodotti.
Questa relazione oggi va spiegata, argomentata, documentata. Gli operatori vogliono essere informati sugli effetti di questo tipo di terreni sulla viticoltura.
Mai come in questo momento registro un interesse così alto per questi vini.

E proprio per questo abbiamo pensato di portare i vini dei vulcani sotto i riflettori alla conferenza Volcanic Wines International (VWI)di New York nel 2026.
Una iniziativa che si lega ai Volcanic Wine Awards, i riconoscimenti che celebrano i vini nati da suoli vulcanici in tutto il mondo che vede la collaborazione con il portale fondato dalla Master of Wine Jancis Robinson e che segna un passo importante per la valorizzazione di una categoria che negli ultimi anni ha conquistato crescente attenzione internazionale.
I vini premiati saranno pubblicati con note di degustazione sul sito di JancisRobinson.com.
La cerimonia conclusiva si terrà a giugno 2026, durante la quinta edizione della International Volcanic Wines Conference a New York.
L’evento riunirà produttori, consorzi e professionisti del settore, rafforzando la rete internazionale di un movimento in continua crescita.
Secondo John Szabo, i premi offriranno finalmente una piattaforma che rifletta “la profondità e l’integrità” dei vini vulcanici. La partnership tra VWI e Jancis Robinson.com segna così l’inizio di un nuovo capitolo nella promozione dei vini vulcanici, oggi sempre più riconosciuti come una categoria a sé nel panorama mondiale.

A ricordare l’origine nel 2009 delle iniziative promozionali sui vini vulcanici é Edoardo Ventimiglia, storico produttore a Pitigliano ed oggi vice presidente del Consorzio di Tutela.
Proprio in occasione delle esperienze volte a valorizzare il concetto di valore e longevità dei vini bianchi italiani, ricorda Ventimiglia, con “Tutti i colori del bianco” che il Consorzio del Soave ha organizzato dal 2005 al 2008 abbiamo avuto occasione di constatare come le espressioni enologiche più originali e più ricercate da comunicatori e operatori invitati fossero quasi sempre riconducibili a terroir di matrice vulcanica e a vitigni storicizzati e caratterizzanti nel rispettivo territorio.

Garganega , Durella, Falanghina, Grechetto e Carricante raccontavano al meglio anche sulla lunga distanza come il rapporto vitigno/ territorio, in ambienti di origine vulcanica, desse con più continuità origine a vini con un carattere fortemente distintivo proprio a testimoniare come ci siano luoghi eletti nei quali la vite per un felice incontro tra intuizione produttiva e fattori naturali esprime al massimo una qualità distintiva e non imitabile.
Partito quindi da Soave nel 2009 il progetto sui vini vulcanici ha dimostrato di saper fare rete sul territorio nazionale mettendo in relazione sistemi produttivi ed organizzativi diversi ma tutti fortemente motivati nella valorizzazione di territori e vitigni originali.
Da quel momento i vini dei vulcani non sono più stati solo un modo di raccontare dal punto di vista pedologico un prodotto ma sono diventati una specifica e valorizzante categoria nell’ambito dell’articolata offerta enologica.
Ciò viene continuamente testimoniato non solo da manifestazioni dedicate, dalle sempre più dettagliate evidenze in etichetta, dall’attenzione di media, distributori e consumatori ma dalla sempre più convinta e strategica consapevolezza dei produttori stessi.
Accanto alla promozione occorre però anche darci delle regole per utilizzare al meglio questi valori e su questo tema stiamo già lavorando con il Ministero.

Mara Lona che guida l’attivo consorzio dei Cembrani Doc conferma come le azioni di valorizzazione complessiva di vino e territorio sul fronte vulcanico si sia poi esteso a tantio altri territori come la Valle di Cembra.
Siamo in una delle valli più suggestive del Trentino, tra vigne eroiche e muri a secco, riconosciuta come Paesaggio Rurale Storico Italiano.
Il terroir è caratterizzato dal porfido, pietra lavica di origine effusiva che genera vini vulcanici molto minerali la cui freschezza dura nel tempo.
Se Müller Thurgau, Chardonnay, Riesling, Gewürztraminer, Schiava, Pinot nero e Lagrein sono i vitigni più coltivati grande attenzione viene posta sul piano produttivo a vitigni storici come il Lagarino Bianco e su quello commerciale proponendo i nostri vini insieme ad altri realizzati su suoli vulcanici in tutta Italia con riscontri molto positivi.

Elisa Cavazza del consorzio Gambellara DOC ricorda che fino a 15 anni fa nessuno parlava del vulcano, oggi invece quasi tutte le etichette ed i siti delle aziende sottolineano questa importante legame che diventa valore aggiunto.
Spiega che il Gambellara si trova sulle pendici meridionali di una antica catena vulcanica subacquea, poi emersa per le spinte tettoniche, con ampia presenza di basalti e tufi dell’era eocenica.
Qui i vigneti sono situati prevalentemente nelle zone collinari e la varietà principale è la Garganega.
Una forte identità vulcanica quindi ma la cosa più importante è come comunichiamo questo valore senza però banalizzarlo.
Ciro Esposito in rappresentanza del consorzio Vesuvio DOC, rimarca come il Vesuvio di fatto rappresenti un’icona del vulcano vivo e attivo ed un punto di riferimento anche per territori limitrofi magari caratterizzati da matrice vulcanica ma dove questa evidenza è più sfumata.

A fare sintesi di queste testimonianze è Marco Nicolosi, titolare azienda vinicola Villagrande e consigliere del consorzio Etna e che ha idee chiare su come valorizzare questo particolare areale del sistema Etna.
Sono molti infatti i motivi per cui i vini realizzati qui hanno caratteristiche diverse, spiega Nicolosi, in primis i suoli originati da uno slittamento del vulcano verso il mare, i suoli si sono quindi mescolati ed abbiamo una buona presenza di argilla, poi l’esposizione, i tanti boschi secolari e la vicinanza al mare, ma soprattutto una grande tradizione viticola millenaria.
Dal punto di vista commerciale c’è grande attenzione oggi ai nostri vini che sono in perfetta sintonia con il gusto del mercato che sta premiando vini meno potenti e la denominazione guidata con attenzione sta crescendo lentamente ma con costanza.
Per quanto riguarda la comunicazione di questi vini va fatta basandosi su dati certi, se è vero che hanno un carattere diverso dobbiamo raccontarli senza banalizzarli, il limite del termine minerale va quindi meglio spiegato come sintesi ideale di sapidità e vivacità acida e questi sono gli elementi che meglio rappresentano tanti vini realizzati su suolo vulcanico.
Se da un lato è quindi innegabile il valore evocativo attribuito dalle icone del vulcano, ovvero forza, fertilità, mito e storia, dall’altro il percorso di ricerca e l’utilizzo di questa chiave di lettura impone oggi di comunicare perchè e in che modo i suoli vulcanici influenzano le produzioni enologiche in tutto il mondo.

A spiegarlo è Brandon Tokash grande wine lover appassionato di vini vulcanici, americano ma ormai italianizzato che vive tra Milo e Roma e conoscitore dei vini di tutto il mondo e dell’Etna in particolare.
Trenta anni fa i vini vulcanici erano solo una curiosità, sottolinea, venti anni fa erano percepiti come novità ma da dieci anni registro attorno a questi vini una grande energia.
Tra l’altro dove può esistere al mondo una situazione in continua evoluzione come succede qui sull’Etna con un vulcano che con la sua attività rigenera costantemente i suoli dei vigneti. Nessun altro suolo derivato da matrici calcaree o moreniche o metamorfiche può avere una tale ricchezza di minerali.
Particolarmente interessato al dibattito anche Keith Edwards, sommelier che vive in Florida, wine connoisseur, blogger e studioso del mondo del vino, un ponte ideale e costante tra Milo, l’Etna e gli Stati Uniti.
Edwards conferma come ci sia un grande interesse del consumatore americano per questa categoria, sembra per molti quasi un nuovo racconto che collegando territori e continenti in un ideale fil rouge sa suggestionare con tante storie diverse di territori, vitigni e tradizioni.
Anche negli USA i vari territori vulcanici come Napa, Oregon, Sonoma e Washington stanno con convinzione usando la leva del vulcanismo per promuovere questi vini, per cui sono convinto che su questo tema oggi non siamo certamente in una fase di stallo ma di rilancio, quasi un nuovo inizio.
I vini dei vulcani si distinguono per freschezza, tensione minerale e complessità sapida, conclude quindi John Szabo. Sono prodotti spesso da viti a piede franco e raccontano un intreccio unico di geologia, storia e cultura. La scelta di JancisRobinson.com come partner editoriale per la loro promozione assicura autorevolezza e visibilità globale.
Di Aldo Lorenzoni
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