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Vegetarianesimo, un’attitudine alimentare da mettere in discussione

e che, pare, non faccia neanche così bene al pianeta.

“L’America sta diventando una piatta società di vegetariani, astemi e puritani. Io credo nella carne rossa, nel vino e nelle donne”.
(Jack Nicholson, attore)

Carissimi onnivori, è ormai finito il tempo in cui per bacchettare il crescente trend di vegetariani, vegani & company dovevamo dire:”Beh anche Hitler era vegetariano eppure…”.
Un ricercatore australiano, Mike Archer, professore e membro del team di ricerca, Evolution Systems Research Group dell’Università di New South Wales, ha elaborato una particolare teoria che metterebbe in discussione lo stile di vita veggie. Il professor Archer prende in considerazione lo sviluppo del sistema agricolo globale: le colture monointensive (come mais, soia e colza) hanno fiaccato la terra, rendendo anacronisticamente vitale l’utilizzo di fertilizzanti e pesticidi, questi hanno inciso profondamente sull’equilibrio dell’intero ecosistema originale.
Perciò, sempre secondo Archer, la tesi di essere vegetariani per non provocare la morte di altri esseri viventi è assai fallace.

Soprattutto se si pensa a operazioni come l’aratura meccanizzata che non solo stermina serpenti, lucertole e roditori, ma provoca il degrado della flora batterica che fissa l’azoto a terra , non permettendone la naturale rigenerazione e costringendo l’agricoltore a utilizzare nel campo, anno dopo anno, fertilizzanti e pesticidi.
Se poi si aggiunge che gran parte delle operazioni, dalla semina alla raccolta, vengono svolte con l’ausilio di motori a scoppio che inondano l’atmosfera di idrocarburi, Archer, forse, non ha tutti i torti.

Anche da un punto di vista nutrizionale il discorso non regge. Per produrre 100 kg di proteine servono 2,2 bovini adulti allevati a metodo estensivo, lo stesso valore proteico si raggiunge con la “macellazione” casuale di almeno 55 piccoli animali durante le operazioni in campo, senza contare le specie che vengono danneggiate enormemente come gli insetti, primi fra tutti le preziosissime api.
È una teoria che mette in luce gli spigoli del vegetarianesimo.
Quello che vedo, nel mio piccolo, è un nutrito gruppo di persone che sa tutto sulle verdure ma non ha mai preso una zappa in mano, una blanda presa di coscienza elaborata da uno stuolo di ragazzine che sono passate da linkare su Facebook annunci di gattini e cani smarriti e bistrattati a mangiare qualche carota in più e qualche cotoletta in meno per liberarsi del peso morale che sta dietro alla bistecca.
Spesso si cela dietro a queste scelte un passato di disturbi alimentari, altre volte, invece, si tratta di pura e beata ignoranza. Vedo spesso, infatti, “vegetariani” che mangiano il tonno in scatola, uno degli alimenti a più elevato impatto ambientale, come a sostenere l’idea che basta che quello che ho nel piatto non abbia gli occhi e il sangue caldo e allora sono vegetariano.
La soluzione è univoca, scritta nel nostro genoma: mangiate, assaggiate tutto ma mangiate poco, carne da allevamenti a pascolo brado e frutta e verdura proveniente da agricoltura integrata.

Ci sono tante persone che ad oggi hanno scelto un’alimentazione più green ma senza una componente intellettuale forte, in grado di mettere in discussioni i dogmi che si sono conseguentemente generati, rischiate, cari erbivori, di restare soli come una gamba di sedano.

Giacomo Camedda


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Redazione

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