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Una Torre di Babele ovvero quando la comunicazione straborda

Quando la comunicazione si perde in una miscela di linguaggi, di codici da interpretare, di terminologie usate per confondere, la vera informazione non arriva o arriva distorta.

Viviamo un periodo storico che definirlo drammatico è poco.
E non solo per la diffusione del maledetto Covid, non solo per la tragicità delle morti, non solo per l’incapacità dell’ultimo Governo a indovinare il modo giusto per affrontare la situazione sanitaria ed economica.
Ma anche perché si è ingenerata nella testa della gente una tal sorta di domande e dubbi e reazioni che ha provocato, e sta provocando, un profondo malessere psicologico in tutti.

All’inizio non ci è stato detto niente, ora anche troppo.

L’allarme pandemico ha scoperchiato un vaso di Pandora in cui stavano ben nascosti ignoranza, impreparazione, indecisione, influenzabilità, incertezze e debolezze decisionali, pieno di contraddizioni, pieno di teste confuse e di confusionarie opinioni.

Di fronte ad una ampia varietà di comunicazioni, un continuo bombardamento di numeri, anche falsati o fasulli, nella gente si insinua prima l’indignazione e sempre più una certa assuefazione che sfocia spesso in indifferenza e talvolta in cinismo. O in paranoia.
Ma anche in ribellione, in disobbedienza civile, ed anche (troppo) educatamente contenuta, senza le brutalità delle proteste che si sono svolte in Germania, Francia, Spagna, di cui abbiamo saputo “per caso”, perché pochi direttori di testate radiotelevisive hanno avuto il coraggio di mandarle in onda.
A proposito, anche qui, la comunicazione è stata distorta, definendo i manifestanti “no mask” e ora “no lockdown”.

L’affollamento di virologi, infettivologi, biologi, clinici, chiamati ad apparire in tutte le trasmissioni, ha cominciato ad infastidire sia perché costoro dovevano rispondere ogni volta ai medesimi quesiti dei conduttori, sia perché ognuno sembrava indossare l’abito dell’opinionista, confutandosi o anche insultandosi l’un l’altro.

Una Torre di Babele dove i messaggi medici si confondono con un valore politico.

E zero trasparenza.

Poi si è tirata in ballo la responsabilità dei giornalisti che porgevano le notizie assumendo toni di voce ed atteggiamenti da dramma teatrale.
E di conseguenza è andata sotto processo la funzione informatrice del giornalismo.
Con il risultato che, in alcuni casi e con superficiale briciola di autocritica: “è mancata la comunicazione”, “non si è fatta una buona comunicazione”, “errori di comunicazione”.

Mesi di scaricabarile, di “non è colpa mia”, la colpa è del “sistema”. Un anno di sofismi.

Maura Sacher


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