Si continua a parlare di crisi e tutti dicono di sentirla e di vederla, mentre i media ci confondono con i dati e le percentuali su quanti andranno in vacanza sulla neve e all’estero, e ci fanno i conti in tasca su quanto poco spenderemo per i cenoni, sottolineando che gli Italiani rinunceranno allo Champagne preferendo il nazionale Spumante (come fosse un ripiego).
Secondo alcune previsioni sui consumi, fra Natale e l’Epifania in Italia salteranno i tappi di 40 milioni di bottiglie di Spumante per una spesa che si aggirerà attorno al miliardo di euro. Nel contempo, è bene evidenziarlo, in tutto il mondo nello stesso periodo saranno 150 milioni le bottiglie di Spumante italiano ad accompagnare cenoni di Natale e pranzi di fine d’anno, con notevole crescita rispetto ai dati precedenti. Oltre 6 bottiglie di bollicine nostrane su 10 rallegreranno gli stranieri. C’è da lamentarsi?
La bottiglia di spumante resta e resterà il Principe di ogni Festa, anche in presenza di una cena non sontuosa, perché il salto del tappo è un evento benaugurale, a cui si affida la speranza di un futuro migliore, in spontanea allegria di tutti i presenti.
E quando allo scoccare della Mezzanotte dell’Ultimo dell’Anno in piazza e per le strade milioni e milioni di persone eseguono il rito, è l’apoteosi della gioia dei semplici, di chi non ha pretese, di quelli che non gliene importa niente delle sontuosità di una cena che dura quattro-cinque ore e che alla fine è solo esibizione, sperpero e spreco.
Nella spontaneità dei gesti di levare il calice in forma beneaugurante, forse non tutti si rendono conto che ripetono un rito antichissimo, un rito che ha origine nella più arcaica ritualità religiosa, quando il vino, “sangue della vite”, era una bevanda riservata al culto divino e la libagione con l’elevazione delle offerte faceva parte del rito propiziatorio e del sacrificio espiatorio.
Detto tra parentesi, l’espressione “sangue della vite” fa intendere che dalle uve si ricavava vino prevalentemente rosso, la vinificazione del bianco si affinò più tardi e maestri furono i Greci.
Il mondo arcaico considerava il vino uno dei beni più preziosi donato all’uomo dalla divinità. Bere significava penetrare nel sacro ed era regolato da regole precise. Si beveva soprattutto a fine pasto, come ancora oggi in molte culture orientali. E soprattutto tutti assieme, mai da soli.
Nelle società occidentalizzate, le occasioni più importanti vengono solennizzate con un “brindisi”, ossia con una levata collettiva dei calici, che però da Paese a Paese assume forme diverse, e alcune Etichette prescrivono sia il padrone di casa a darne l’avvio e guardarsi negli occhi è un imperativo a cui l’ospite straniero deve accodarsi.
Altre usanze prevedono la rottura dei bicchieri dopo la bevuta del brindisi.
Da noi, esiste un Galateo anche del Brindisi, con regole restrittive e in un certo senso “mortificanti” la spontaneità, da riservare alle situazioni di formalità totale.
Nel nostro brindare ultimamente si sono importati alcuni costumi esteri, pazienza, in questo periodo possono assumere un significato nell’atmosfera coinvolgente, l’importante è non esagerare.
Buone Feste e allegri Brindisi!
Maura Sacher
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