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Trivelle offshore: un rischio per il mare e la pesca

Il Coordinamento Nazionale della Pesca ha aderito alle denunce di Greenpeace contro le trivelle offshore, con un manifesto congiunto per ribadire che “le Trivelle offshore sono un rischio inutile, per il mare e la pesca”.

Anche il Coordinamento Nazionale Pesca dell’Alleanza delle Cooperative Italiane esprime la propria assoluta contrarietà alla “strategia fossile” portata avanti dal governo Renzi, e contrastata da ben 10 Regioni, di cui 7 a guida Pd, dall’Adriatico allo Ionio, fino alla Sardegna, le quali si sono già mobilitate e hanno presentato ricorso per abrogare alcune norme del decreto Sblocca-Italia. Norme ritenute pregiudizievoli per l’integrità degli ecosistemi marini e l’intero comparto della pesca.

«Le politiche di gestione della pesca professionale sono sempre più indirizzate verso la sostenibilità dello sforzo di pesca. È inutile dar vita al fermo di pesca, ai piani di gestione per consentire un corretto prelievo delle risorse ittiche, se poi si autorizzano interventi in mare che rischiano di danneggiare pesantemente la fauna marina e con questa l’attività delle imprese della filiera», afferma il Coordinamento Pesca dell’Alleanza, nel sottolineare che i pescatori sono sempre più chiamati a farsi carico in prima persona dei costi legati ad una riduzione dello sforzo di pesca. «Questo può essere, però, vanificato se non vengono tutti chiamati ad un maggiore senso di responsabilità».

I dati parlano chiaro. Obiettivo dei petrolieri sono alcune delle aree marine di maggior pregio del nostro Mediterraneo. Recenti decreti autorizzativi hanno spalancato agli airgun e alle trivelle le porte dell’Adriatico, dello Ionio e del Canale di Sicilia, fino ai mari della Sardegna.

A fronte dei minimi quantitativi di petrolio e gas presenti sotto i nostri fondali, equivalenti solo a pochi mesi di consumi nazionali, e delle royalties più basse d’Europa, il settore della pesca potrebbe subire una pesante contrazione, con una riduzione potenziale fino al 70 per cento delle catture di numerose specie ittiche commerciali. Tecniche come gli airgun, inoltre, possono causare traumi e danni diretti o indiretti a specie marine come cetacei, tartarughe, pesci, molluschi e crostacei.

«Un gioco che non vale assolutamente la candela, se pensiamo che nel solo bacino Adriatico la produzione ittica si attesta intorno ai 300 milioni di euro l’anno, offrendo lavoro a circa 10 mila persone, alle quali si aggiungono gli addetti del settore dell’acquacoltura e della mitilicoltura», spiega Alessandro Giannì, direttore delle Campagne di Greenpeace Italia. «La sola pesca in Adriatico ha un valore, escluso l’indotto, pari all’intero gettito delle royalties che le compagnie petrolifere hanno pagato nel 2015 in Italia, sia per le estrazioni onshore che offshore, di gas e petrolio».

Greenpeace e il Coordinamento Pesca dell’Alleanza delle Cooperative Italiane chiedono una moratoria per tutte le attività estrattive nei nostri mari e una profonda revisione delle politiche energetiche nazionali, nel rispetto degli impegni presi dall’Italia per contrastare i cambiamenti climatici. Chiedono inoltre al governo nazionale un confronto immediato e approfondito, chiarendo sin d’ora che eventuali misure di cui già si parla per compensare il settore della pesca per la riduzione degli spazi fisici sottratti all’attività dalle concessioni petrolifere sarebbero comunque insufficienti e inutili, per compensare i danni che deriverebbero da tali attività, anche per i consumatori.

Qui il Manifesto completo: http://www.greenpeace.org/italy/Global/italy/report/2015/mare/Manifesto_Greenpeace_AllPesca_Mare_senza_trivelle.pdf

Maura Sacher


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