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La tradizione italiana della pesca è a forte rischio di scomparire

La tradizione italiana della pesca è a forte rischio di scomparire

La tradizione italiana della pesca è a forte rischio di scomparire

L’Italia è una nazione a forte vocazione e tradizione marinara e la pesca è parte importante della cultura del nostro paese.

 In questi ultimi anni prima della pandemia e della crisi è aumentato molto il consumo di pesce e si sta invece contemporaneamente affievolendo la tradizione nostrana della pesca. 

Sono quasi del tutto scomparsi i pescatori di lago a causa soprattutto dell’inquinamento e la riduzione degli specchi d’acqua causata negli ultimi anni dalla siccità. 

La plurimillenaria attività della pesca è rimasta inalterata per secoli e secoli. 

Attualmente a causa della assenza di tutele per questo lavoro e dell’ambiente il rischio è quello di vedere una lenta fine della pratica della pesca nei mari. 

Il fortissimo depauperamento delle risorse ittiche unito alla mancanza di lavoratori del settore e i costi di gestione dei pescherecci stanno producendo effetti devastanti. 

In molti porti sparsi lungo le migliaia di chilometri delle coste italiane le flotte dei pescherecci si sono dimezzate negli ultimi venti anni. 

Molti pescatori hanno cambiato lavoro, gli armatori hanno demolito o ceduto le barche e venduto le licenze di pesca.

 Il consumo di pesci è aumentato vertiginosamente negli ultimi trent’anni e a causa del dimezzamento delle flotte è aumentata la dipendenza di pesci, molluschi e crostacei importati da nazioni estere. 

Attualmente la flotta di pescherecci italiani ammonta a 12.000 imbarcazioni e dà lavoro a circa 40.000 persone. 

Nel 1991 erano 18.000 i pescherecci e ad oggi sono state demolite 6000 imbarcazioni, il 33 % del totale. 

Il volume di pesce pescato ammontava nel 2016 a quasi 184.000 tonnellate mentre attualmente è intorno alle 130.000. 

Il settore è in forte crisi e non è certo colpa del fermo pesca attuato per ripopolare i mari italici. 

I costi di gestione cominciando dal gasolio e il non adeguato aumento dei prezzi pagati ai pescatori sono fra le cause della crisi. 

I cavilli burocratici, norme restrittive, zone di pesca interdette nonché la problematica delle acque territoriali stringono i pescatori in una morsa inesorabile. 

E non si devono sottovalutare i danni causati dai pescatori di frodo. 

I governi che si sono succeduti fino all’attuale dimissionario non hanno mai affrontato la questione delle acque contese soprattutto con le nazioni africane che si affacciano sul Mediterraneo. 

Questa situazione di inerzia politica ha favorito la Croazia, la Francia oltre i paesi del Nord Africa. 

La pesca a strascico, quella intensiva e l’inquinamento hanno defalcato la fauna ittica dei nostri mari. 

Oltre il 60 % dei pesci che finiscono nei ristoranti, nei supermercati, nelle pescherie, nelle case e sulle nostre tavole provengono da mari e oceani extraeuropei. 

La Repubblica Popolare Cinese è fra i maggiori fornitori mondiali di pescato con 81 milioni di tonnellate consegnate lo scorso anno. 

Negli anni è aumentata considerevolmente la concorrenza della aziende di acquacoltura che nell’ultimo decennio hanno ricevuto dalla UE 350 milioni di euro, il 40 % di tutti i contributi destinati al settore europeo della pesca. 

Continuando così non c’è nessun futuro per i pescatori italiani.

Umberto Faedi 


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Umberto Faedi

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