La parola ai produttori

Terrae Laboriae ovvero come trovare l’innovazione nella viticoltura più antica del mondo

Una giovane realtà del Sannio che ha già stregato chiunque ne ha fatto la conoscenza

Nella provincia di Benevento il Sannio rappresenta uno dei territori campani più vocati alla viticoltura, che si rende protagonista disegnando con i vigneti il profilo paesaggistico. Il vino ed il suo mondo qui sono di casa sin dai tempi degli antichi romani, a cui i sanniti fornivano alcuni tra i vini più pregiati per l’epoca come il Falerno. Forse la referenza più famosa anche grazie alla presenza di riferimenti riconducibili ad esso in un sito archeologico tra i più importanti al mondo come Pompei, distante da Benevento solamente un centinaio di chilometri.

Malgrado nel Sannio la tradizione sia sedimentata da millenni c’è chi però sta tentando la via dell’innovazione, ma sempre nel solco della valorizzazione del territorio e dei suoi vitigni autoctoni. Sono infatti questi i punti cardine su cui i due artefici di Terrae Laboriae hanno costruito la loro giovane realtà.

Tra le esperienze di Antonio Sauchella, sommelier viaggiatore ad appassionato della diversità culturale nel mondo c’è l’incontro con la viticoltura Georgiana e il suo tratto distintivo, la vinificazione in anfora di terracotta chiamata qvevri, che con i suoi 8000 anni alle spalle oggi rappresenta la testimonianza più antica di viticoltura. L’Azienda nasce dalla condivisione di queste esperienze con Angelo Iannotti, anch’egli sommelier di una famiglia in cui il vino e la vigna sono di casa da generazioni.

Una delle caratteristiche principali del qvevri a differenza della botte, è quella di consentire la micro ossigenazione senza cessioni di qualsiasi tipo, permettendo così alle uve di mantenere al massimo le proprie caratteristiche di autenticità, che è uno dei punti fermi della viticoltura di Terrae Laboriae.

Il resto lo fanno l’assenza di impiego di sostanze chimiche e di operazioni meccanizzate, l’estrema selezione dei grappoli e la raccolta manuale. In cantina fermentazioni naturali e lieviti indigeni, nessuna chiarifica e filtraggio, e bassissime quantità di solfiti utilizzate.

Le varietà utilizzate sono naturalmente autoctone, come Falanghina  e Camaiola (Barbera del Sannio), vitigno a bacca rossa esclusivo della provincia di Benevento e Uva Cerreto (clone locale della Malvasia di Candia).

I vini con grande sorpresa, ma evidentemente non per i loro artefici, hanno ricevuto grandissimo consenso di pubblico in ogni manifestazione in cui sono stati presentati. Le piacevoli note ossidative, l’intensità gustativa il loro profilo organolettico tipico della vinificazione in qvevri hanno conquistato giurie importanti come quelle della Milano Wine Week, la manifestazione Slow Wine di Bologna o “Amphora Revolution” organizzato a Verona da Vinitaly e Merano Wine Festival.

Un progetto pieno di entusiasmo Terrae Laboriae, che trapela anche dalle battute scambiate piacevolmente con Antonio ed Angelo:

Domanda scontata nel vostro caso ma imprescindibile per capire la vostra produzione: Da dove nasce la scelta di utilizzare il qvevri georgiano per le vostre vinificazioni?

Al contrario di quanti possano immaginare, la Georgia è la culla della viticultura mondiale, dove si produce vino da circa 8.000 anni.

Le tecniche di vinificazione in questa Regione di basano tutt’oggi sull’utilizzo dei qvevri, ossia recipienti in terracotta che permettono la micro ossigenazione del vino, senza avere contaminazioni esterne e senza utilizzare tecnologia industriale.

Riflettendoci bene, il qvevri va quindi nella direzione della sostenibilità e dell’autenticità del prodotto, temi attuali ed allo stesso tempo importanti per la nostra filosofia di produzione, ecco il perché della nostra scelta.

Il qvevri è un mezzo per portare avanti la vostra filosofia di vino oppure è esso stesso la vostra filosofia?

Le due cose sono collegate. Il qvevri è uno strumento indispensabile per portare avanti la nostra filosofia di produzione ma allo stesso tempo implica un’agricoltura sostenibile, senza utilizzo di chimica, minimo utilizzo di solfiti agendo sempre nel rispetto della natura e della biodiversità delle nostre vigne.

Non avrebbe senso, infatti, applicare una vinificazione naturale in qvevri se non si rispettano a monte il terreno ed i vigneti. 

Antonio Sauchella

Dal successo di pubblico che i vostri vini ricevono in ogni manifestazione questa oggi è chiaramente una scommessa vinta, ma come sono stati accolti all’inizio in un territorio come il vostro così fortemente legato alle tradizioni?

Grazie, siamo veramente orgogliosi dei risultati raggiunti. Il progetto “Terrae Laboriae” nasce proprio con l’idea di proporre qualcosa di diverso per il nostro territorio, il Sannio, molto legato alle tradizioni ed alla vinificazione “convenzionale”.

Ricevere premi internazionali ed essere recensiti nelle principali guide di settore alla prima vendemmia, tra cui in Giappone, ci indica che siamo sicuramente sulla strada giusta. 

Evidentemente anche il nostro territorio aveva bisogno di qualcosa di nuovo, di non convenzionale, per essere maggiormente valorizzato.

Oltre alla mancata cessione di tannini e alla micro-ossigenazione, uno degli aspetti interessanti della vinificazione in qvevri è rappresentato dal loro essere interrate mantenendo una temperatura costante. In realtà c’è anche chi sostiene che in origine era solo un modo che consentiva di camuffare il pavimento ricoprendolo di paglia per evitare le razzie. Voi come avete sistemato i vostri qvevri e cosa ha motivato la vostra scelta, pensate ci sia una differenza nelle caratteristiche dei vini tra qvevri interrati o no?

Sicuramente. L’elemento chiave è il controllo della temperatura soprattutto nella prima delicatissima fase di fermentazione.

I nostri qvevri sono a vista ma posizionati cinque metri sotto il terreno, assorbendo quindi i principali sbalzi termici tra le varie fasi della vinificazione.

Questo sorprende anche gli operatori del settore perché vinificare senza avere tecniche di controllo è complicato oltre che allo stesso tempo rischioso per la salvaguardia del vino stesso, che può alterarsi facilmente.

Il profilo organolettico tipico di questa vinificazione con i suoi toni lievemente ossidativi, i colori ambrati e la grande complessità sono elementi distintivi per questi vini. Credi che il gusto del pubblico li accoglierà sempre di più oppure sono destinati ad una nutrita nicchia di intenditori e appassionati?

Oltre ad essere un sommelier appassionato di vino, sono un ingegnere appassionato di business. C’è un mercato per tutto, basta solamente scovarlo.

I vini orange sono vini molto particolari, sicuramente di nicchia e non adatti al palato di tutti. C’è però da dire che negli ultimi anni il consumo di questi vini sta aumentando notevolmente e sempre più ristoranti di fascia medio-alta propongono in carta orange wines in abbinamento a piatti speziati e complessi proprio per le caratteristiche intrinseche di questi vini.

Il risultato del pairing? Eccezionale.  Inoltre, quando si è indecisi tra un bianco o un rosso la risposta è solo una: orange!

Vediamo quindi molta prospettiva per questi vini.

Angelo Iannotti

Personalmente la vinificazione in qvevri è stata sorprendente fin dal primo incontro, così è avvenuto anche con i vostri vini. State partecipando agli eventi più importanti del mondo del vino sul territorio nazionale: tra i banchi d’assaggio quali sono le sensazioni e i commenti più comuni che il vostro lavoro raccoglie da parte del pubblico?

Ancora ricordo la nostra prima fiera in Spagna, terra dominata da rossi caldi, esuberanti, tannici. Presentammo il nostro TELI Sannio Barbera DOP 2022, prodotto molto diverso dai vini locali ed un assaggiatore mi disse una cosa bellissima: “questo vino mi mi ha fatto venire la pelle d’oca! Quante bottiglie hai? Te le compro tutte!”

Francamente nemmeno noi ci saremmo aspettati una reazione del genere, dobbiamo dire che riscuotiamo tanti feedback positivi ed allo stesso tempo curiosità/stupore quando presentiamo anche la nostra filosofia e la tecnica di vinificazione.

Nella vostra passione per i vini Georgiani avete mai pensato di produrre un vino in cui utilizzare bucce e vinaccioli nella vinificazione, magari al 10% stile Imereti con impatto più basso rispetto ai vini del metodo ‘kakheto’ che utilizzano anche i raspi? 

Siamo all’inizio della nostra avventura e sperimentare è d’obbligo. Ci siamo legati molto alla tecnica del Kakheti che prevede l’utilizzo dei raspi per un semplice motivo: la Falanghina non ha una marcata nota erbacea che invece viene molto valorizzata lasciando i raspi in fermentazione. Questa nota arricchisce la complessità e dona un finale molto più interessante rispetto allo stesso vitigno vinificato in modo convenzionale. 

Riferito ad un vino, cosa significa oggi valorizzare al massimo l’identità del territorio?

Il vino è poesia e deve esprimere le caratteristiche del proprio territorio. Per noi il concetto è semplice: proporre vini in purezza, per apprezzare le caratteristiche del singolo vitigno del nostro territorio e limitare al minimo le contaminazioni esterne, così come avviene ad esempio nell’utilizzo delle barrique, che cedono il tannino del legno al vino stesso, di fatto “contaminandolo” e rendendolo meno autentico.

Dopo queste splendide produzioni cosa dobbiamo aspettarci per il futuro? Avete nuovi progetti in cantiere?

Si, abbiamo tante idee e stiamo già pensando di ampliare la produzione. Abbiamo recentemente ordinato altri qvevri che ora sono in viaggio dalla Georgia proprio per sperimentare e proporre nuove etichette.

Non vogliamo “spoilerare” ancora nulla però, magari ve lo proponiamo in assaggio in anteprima.

Se non nel tuo territorio dove vi piacerebbe fare il viticoltore e con quali vitigni?

Come avrete capito, ci piace sperimentare cose nuove e non fermarci al convenzionale. Il cambiamento climatico, purtroppo, sta avendo un impatto negativo sulle colture ma allo stesso tempo sta aprendo nuovi orizzonti alla viticultura mondiale.

Si pensi, ad esempio, che oggi l’Inghilterra produce vini spumanti interessanti, cosa impensabile qualche decennio fa.

Ecco, ci piacerebbe essere i pionieri in qualche nuovo mondo, sperimentando magari nuovi vitigni e nuovi orizzonti.

Bruno Fulco

 

 

 

 

 

 

 

 


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