Stile e Società

Sacchi di caffè al riciclo: si può

Chi mai direbbe che i sacchi di caffè, dopo aver viaggiato dall’Africa e da altri continenti, essere rimasti stivati per mesi in magazzini, e dopo che i grani preziosi sono stati scaricati, possono essere ancora utili e magari diventare abiti eleganti da sfoggiare?

Nessuno, a meno che abbia la fantasia di un designer di moda, di quelli anticonformisti o “arrabbiati” che cercano di proposito tessuti poveri per vestire ricche signore.

Eppure a Trieste c’è un laboratorio di sartoria-maglieria, gestito dalla cooperativa sociale San Giovanni, che ha appena ricevuto in dono dall’imprenditore del caffè Fabrizio Polojac (si legge Poloiaz), di Primo Aroma, un primo contingente di sacchi di iuta, una nuova sfida artistica per la creatività degli artigiani, nello stesso tempo raccogliendo il principio del non spreco e del riuso, di cui il Comune di Trieste si era fatto capofila nel 2012 lanciando da “Trieste-Next” l’iniziativa “le città contro lo spreco”.

La cooperativa riutilizza di tutto, persino gli striscioni della Bavisela, e le stoffe degli ombrelli rotti, per restare in tema di vento. Ne vengono realizzate borse, sacchetti per la spesa, cappottini per cani, addirittura frisbee, aquiloni, e altra oggettistica.
Nell’ottica di economie eco-compatibili e socio sostenibili, «Abbiamo ripreso usanze, saperi e tradizioni, per arrivare a una produzione di manufatti nel rispetto dell’ambiente e cercando di coinvolgere anche la città», spiega Pino Rosati, direttore artistico. La finalità del progetto è di percorrere una strada nuova nel campo dell’utilizzo dei materiali tessili, decostruendo la fattura per ridarle nuova vita partendo da zero. Jeans, giacche, maglioni, cravatte, tessuti di ogni tipo dismessi e donati da privati diventano borse, cappelli, segnalibri, scaldacollo, portaoggetti, tappezzerie, anche giocattoli, tutti oggetti unici. Oppure anche riparati, su richiesta.

Ma non è tutto. Non è un caso che la cooperativa abbia sede nel cosiddetto “ex comprensorio di San Giovanni”, un ampio spazio verde sulle pendici della collina omonima: più di cent’anni fa vi esisteva uno dei più grandi manicomi d’Europa. Nel 1978, Franco Basaglia scardinò l’istituzione totale abbattendo i cancelli. Oggi è diventato Parco Culturale di San Giovanni. Qui, in un ampio salone al pianterreno del padiglione M, ha sede la Lister Sartoria Sociale.
Nell’atelier si tengono corsi di formazione professionale con l’obiettivo di creare nuovi posti di lavoro per chi ha percorso la malattia mentale e vi lavora una decina di persone, quasi tutte donne in borsa formazione lavoro.

Infine, una curiosità sul nome “Lister”: è l’anagramma di “terlis” che in triestino sta ad indicare l’abito da lavoro, cioè un tessuto resistente, per anni, e al caso rattoppato, mai buttato.

Intanto, nel 2014 “Anno europeo contro lo spreco”, la filiera del caffè si arricchisce di un nuovo tassello produttivo, quello sartoriale. La stessa trama del sacco sarà fonte di creatività, che sicuramente prenderà spunto dai disegni e dalle scritte riportate sulle tele.

Maura Sacher

Nella foto la presidente di Lister Carla Stefani e l’imprenditore del caffè Fabrizio Polojac


Grazie per aver letto questo articolo...

Da 15 anni offriamo una informazione libera a difesa della filiera agricola e dei piccoli produttori e non ha mai avuto fondi pubblici. La pandemia Coronavirus coinvolge anche noi.
Il lavoro che svolgiamo ha un costo economico non indifferente e la pubblicità dei privati, in questo periodo, è semplicemente ridotta e non più in grado di sostenere le spese.
Per questo chiediamo ai lettori, speriamo, ci apprezzino, di darci un piccolo contributo in base alle proprie possibilità. Anche un piccolo sostegno, moltiplicato per le decine di migliaia di lettori, può diventare Importante.
Puoi dare il tuo contributo con PayPal che trovi qui a fianco. Oppure puoi fare anche un bonifico a questo Iban IT 94E0301503200000006351299 intestato a Francesco Turri

Articoli correlati

Pulsante per tornare all'inizio