Vino e Ristoranti

Pronto da bere il Gragnano della Vendemmia 2012

Alle falde dei Monti Lattari, l’ottimo vino di Gragnano continua a tenere alta la bandiera di una produzione vinicola eccellente fin dalle origini.

 

In Campania e non  solo, dire Gragnano vuol dire evocare la tradizionale pasta di grano duro ormai famosa nel mondo, ma anche un vino che, dai tempi di Roma antica e fino ai giorni nostri, è diventato il simbolo liquido della cittadina.

Sui terreni resi eccezionalmente fertili dalle ripetute eruzioni del Vesuvio, i vitigni introdotti dai Greci, coltivati dalle popolazioni locali prima e romane poi hanno sempre reso uve eccellenti che, vinificate con tecniche tramandate fino a noi, diventavano quel vino sapido e genuino conosciuto con il nome del comune dell’area stabiese. Un vino tanto apprezzato che, già durante il XIII sec., la città di Gragnano fu invitata a fornire il suo vino per le feste dei reali angioini. Qualche secolo dopo, per indicare il buon vino prodotto nel regno di Napoli, si diceva “Gragnano”, sinonimo di un vino fragrante, limpido, abboccato, vocabolo che intendevasi come “dolce e di vitigno”, non artificiale. E non artificiale il Gragnano lo è ancora oggi che, ottenuto nel 1988 il riconoscimento DOC, continua ad avere come base il Piedirosso ( detto a Napoli “per ‘e palummo”, per la somiglianza del colore e della forma del raspo con le zampette dei piccioni) nella proporzione minima del 40%, unito a vitigni considerati autoctoni quali l’Aglianico, l’Olivella, il Castagnara e il Tintore. Appartenente alla sottozona del “Penisola Sorrentina”, il Gragnano è in pratica un vino novello, dal colore rosso rubino, dal sapore fresco  e stimolante, con sentori di frutta e di violetta. Frizzantino e più o meno spumoso, a seconda delle uve che concorrono alla sua nascita, è un vino di pronta beva, adatto anche al pesce e alle verdure, apprezzato, in tempo moderni, dal grande Mario Soldati, che nel diario del suo viaggio in Campania così lo descriveva: “Il Gragnano ha un colore rosso rubino carico, che tira allo scuro; profumo vinoso e campestre; frizzantino, e quando giovane addirittura spumoso di una spuma che calava subito e subito spariva per sempre; pastoso, denso ma allo stesso tempo scivoloso: come un lambrusco di più corpo, come un barbera di meno corpo; e con un aroma, un retrogusto gradevolissimo di affumicato della stessa specie di quello del whisky al malto ma infinitamente più volatile.”  Un vino da scoprire o da ri-scoprire, senza nulla togliere alle grandi etichette della Campania, da bere in  calici non troppo grandi, freddo di cantina e dopo averlo lasciato ossigenare almeno un’ora. Con i piatti della tradizione, salsicce e “friarielli”, lasagne e sartù,  ma anche con la pizza, regina della tavola napoletana, e con il tipico “ panuozzo di Gragnano”, il vino giovane della costiera stabiese sa sempre come dare il meglio di sé, e si fa apprezzare per il pregio aggiuntivo di lasciare sobrio il commensale, anche quando ne gusta un bicchiere in più.

 

Simone Ottaiano

s.ottaiano@studiosema.it

s.ottaiano@egnews.it




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