Tribuna

Ospite e ospitalità: le radici

Avere un ospite, invitare ospiti, essere ospite, e quant’altro, sono espressioni che usiamo normalmente, e siamo convinti di avere presente il concetto dell’ospitalità, qualcuno ci ha insegnato che è un “dovere” e che l’ospite è “sacro”, specie se lo invitiamo alla nostra tavola.

Ma rispolveriamo un po’ le reminescenze scolastiche.
La parola “ospite” ha in latino la corrispondenza in due termini con la stessa radice ma di senso lievemente differenziato: «hostis» e «hospes». Il primo indicava colui che viene accolto, il secondo colui che accoglie. Nella lingua italiana usiamo un unico termine, che spesso crea ambiguità.

Ma, attenzione, nel significato arcaico il termine latino “hostis” (colui che viene accolto) era originariamente riferito all’estraneo, allo “straniero”, a chi non appartiene alla medesima famiglia, al medesimo popolo. Questa espressione, con il tempo venne assimilata al termine «inimicus» con il concetto di “ostile”, probabilmente già all’epoca delle conquiste imperiali, quando la gente di popolazioni ‘straniere’ resistevano all’integrazione, ossia alla romanizzazione.

Nella più antica civiltà greca era usato il termine «xenos» con lo stesso significato e «xenia» per ospitalità. «Lo straniero è per gli uomini e per gli dèi oggetto di un più grande amore», «L’ospite è come un fratello per l’uomo che abbia anche solo un poco di senno», sono frasi che ci rimandano alle Leggi di Platone e all’Odissea di Omero. ca73addc6b06e54e1b4417124d0be288Sono esemplari le narrazioni di come Ulisse, arrivato mezzo annegato sulla spiaggia dopo il naufragio, fu accolto dal re dei Feaci per la pietà di Nausicaa e infine di come da sconosciuto, quando finalmente approdò ad Itaca, gli furono riservati trattamenti di riguardo, già nell’umile dimora del vecchio pastore Eumeo. Presso i Greci, infatti, l’ospitalità si reggeva su un sistema di prescrizioni inflessibili.

E pure tra altri Popoli, come ad esempio gli Ebrei. «Quando qualche forestiero soggiornerà con voi nel vostro paese, non gli farete torto. Il forestiero che soggiorna fra voi, lo tratterete come colui ch’è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso; poiché anche voi foste forestieri nel paese d’Egitto» (Levitico 19, 33-34).
In tutto il mondo antico l’ospitalità era importante al punto da essere considerata “la relazione più profonda e più sacra nella quale possano stare due abitanti di questo mondo. Il dare e il ricevere l’ospitalità impone obblighi di cura e di protezione”.
Violarla significava fare un affronto alla divinità, perché gli antichi erano convinti che entità superiori intervenissero spesso nella vita degli uomini, pertanto il padrone di casa, se avesse trattato male uno sconosciuto presentatosi alla porta nelle vesti di viandante, mendicante («ptochoi») o di straccione sotto le cui spoglie si fosse celato un dio o un suo messaggero, avrebbe potuto incorrere nella collera divina. La divinità poteva scegliere questo mezzo per mettere alla prova la “pietas” e la rettitudine degli uomini e di conseguenza premiare o lanciare punizioni. Non osservare questa sacra legge era esecrabile anche dal punto di vista sociale, non solo morale.

Oggi, l’ospite è colui che volontariamente invitiamo a casa nostra, welcome_casettae dobbiamo riconoscere che il ‘Galateo’ recupera quei primordiali principi quando ci insegna che il posto dell’invitato è alla destra del padrone di casa, il cosiddetto “posto d’onore”.

Maura Sacher


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