Non mi riferisco a ciò che hanno combinato oggi pomeriggio nelle vie di Milano i soliti ignoranti in democrazia e farabutti nulla-facenti-di-buono nella vita se non divertirsi solo quando devastano i beni altrui, ‘altrui’ perché costoro non hanno il concetto di bene pubblico, figuriamoci i loro compari che si aggregano dall’estero.
Mi riferisco alle note e alle parole dell’Inno Nazionale cantato dal doppio Coro all’Inaugurazione dell’Esposizione Universale Milano 2015.
Siamo abituati ai cambiamenti, alle trasformazioni sia nella nostra esistenza sia nella vita politica, sociale ed economica, ma allo stravolgimento dell’Inno Nazionale, no.
L’Inno per antonomasia è un “canto solenne” e ufficialmente rappresenta l’identità nazionale, la nostra dal 12 ottobre 1946. «L’Inno rappresenta, insieme al Tricolore e al Presidente della Repubblica, uno dei tre simboli dell’unità nazionale» (http://www.governo.it/Presidenza/ufficio_cerimoniale/cerimoniale/inno.html). Il Protocollo dello Stato prevede rigorosamente le occasioni in cui deve essere ‘suonato’, ossia gli eventi ufficiali.
Già è per le mie corde una forzatura sentir l’Inno interpretato da solisti, a parte Pavarotti o Bocelli quando prestano la loro voce nel pieno rispetto delle note di Michele Novaro sul testo del ventenne eroe risorgimentale Goffredo Mameli, del 1847.
Il colmo del mio raccapriccio è stato assistere alla performance ai Mondiali di Calcio 2002, in Corea, di Elena Bonelli, con quello scollatissimo abito rosso e la frusciate sciarpa bianca sventolante ogni volta che alzava le braccia.
È stato il colmo fino ad oggi, perché ho assistito con vero brivido alla presentazione di un Inno di Mameli riscritto. Una libertà “artistica” che davanti a tante autorità italiane ed estere non può non aver sconcertato anche loro. Mi domando se Renzi ne fosse stato informato.
È concepibile che una Cerimonia di inaugurazione ad una manifestazione Universale, l’Inno della Nazione ospitante venga liberamente interpretato?
Non solo da un Coro a voci miste, uomini maturi e bambini, ma addirittura su tonalità diverse. Come un Coro di montagna, insomma. Una sinfonia ricostruita.
E ciliegina sulla torta, ecco che sono stati cambiati alcuni versi.
Mentre il testo da 168 anni ripete: “Stringiamoci a coorte, / siam pronti alla morte. Siam pronti alla morte, / l’Italia chiamò, sì!”, il 1° maggio 2015 il secondo “Siam pronti alla morte” è passato a “siam pronti alla vita”.
Qualcuno commenta “come si poteva far declamare alla morte da parte dei bambini!”. Eh, già, perché a scuola non imparano l’inno nella versione integrale?
Qualcun altro obietta: l’Expo ha come tema quello del cibo e della vita.
Ma è comunque indecente cancellare la tradizione!
Maura Sacher
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