Stile e Società

Le erbe dei prati in pentola, menù povero per palati raffinati

Non deve essere soltanto la crisi che spinge la gente a farsi il pane, i dolci o la pasta fresca in casa quanto piuttosto la tendenza al “mangiar sano”, perché se si mette in conto il consumo degli apparecchi elettrici e dei forni, ammesso che non si voglia calcolare la fatica, il sudore della fronte, il tempo da impiegare, quasi quasi il gioco non varrebbe la candela. Eppure in molte famiglie moderne si è riscoperto il cibo fatto in casa e anche le verdure dell’orto.

La cucina delle tradizioni locali di tutte le regioni, ancora prima della moda del “chilometro zero”, ha sempre utilizzato le spontanee erbe di prato, le quali assumono di luogo in luogo nomi diversi, come diverse sono le specie ambientali e differenziato ogni microclima.
Non possiamo nemmeno immaginare quante centinaia di piantine commestibili crescono nei nostri prati, dalla pianura alla mezza montagna, e quante di queste abbiamo sotto gli occhi ogni giorno, crescono sui muri (e non mi riferisco ai capperi), sui cigli delle strade, fanno capolino in mezzo al cemento.

Tuttavia è bene non affidarsi al caso. La raccolta di piante selvatiche edibili richiede precise conoscenze botaniche ed ecologiche, non solo perché ogni pianta ha un suo ciclo vitale e le sue essenze sono maggiormente presenti a seconda della specie vegetale, in mesi precisi, tra germogli, fiori, foglie, radici, ma specialmente perché quelle stesse erbe sono nocive se raccolte nel periodo sbagliato.  
Le nostre nonne e bisnonne “sapevano”, oggi si deve imparare tutto d’accapo, come per i funghi, bisogna andare a scuola (esistono corsi di laurea in erboristeria), affidarsi agli esperti che hanno studiato e a volte ancora studiano sperimentando. Non tutto si può apprendere dai libri, conta molto l’osservazione diretta sul campo, dal momento che molte specie hanno ‘sosia’ tossici.
Si può imparare altresì aderendo ai gruppi che, spesso sotto l’egida delle Pro Loco locali o di specifiche associazioni amatoriali, organizzano uscite pratiche con escursioni sui prati, in collina, in montagna, guidate da specialisti in erboristica, e cicli di conferenze didattiche con professionisti, anche medici, farmacisti, nutrizionisti.

Al di là delle piante officinali e quelle aromatiche note a tutti, si può scoprire l’esistenza di una gamma infinita di varianti di “salate” selvatiche buone da mettere nel piatto, crude o lessate, per risotti, minestre, ripieni di ravioli, frittate, torte rustiche: cicoria-scarola, bietola, dente di cane, costole d’asino, insalata dei grilli, erba cipollina o aglio di serpe, piantaggine, centocchio. Quante volte passeggiando le abbiamo calpestate!
Pochi sanno che il finocchio selvatico o finocchietto è tutto commestibile: germogli, foglie, fiori, frutti (impropriamente chiamati “semi”), incluse radici e fusti.

Poi ci sono le prelibatezze vere e proprie: dalle foglie di ortica e quelle di papavero, dal bulbo dei topinambur (pianta infestante tipica dei luoghi umidi, stelo alto e infiorescenza a margherita gialla) ai germogli giovani del luppolo (i “bruscandoli”, il cui aspetto è molto simile a quello degli asparagi selvatici, ma con sapore non paragonabile).
Molto ricercata in gastronomia è la Silene con le sue molte specie e varietà di nomi: strigoli,  carletti, strisci, scrissioi o concigli, sclopit; è fra le migliori erbe commestibili, ma solo prima della fioritura (quei fiorellini dal calice rigonfio che da bambini ci divertivamo a far scoppiare sulla fronte).

A dire il vero la rassegna delle piante spontanee e dei fiori mangerecci non termina qui, questo è solo un “assaggio”. La cosiddetta cucina povera ora viene riscoperta dagli chef in cerca di novità e viene proposta ai palati raffinati, a caro prezzo. Vi dovreste aspettare delle stupefacenti sorprese: margheritine, gelsomini, ginestre, primule, nasturzi, viole mammole, e persino gigli e gerani, etc.
L’ottimale resta sempre il fai da te, competente e sicuro.

Maura Sacher
m.sacher@egnews.it


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