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Intolleranze e allergie fanno sbandare i dati sui consumi alimentari

I periodici rilevamenti su consumi e prezzi, che i vari Centri Studi di organismi ministeriali e sovranazionali divulgano (associazioni di produttori, commercianti, consumatori), a volte con toni allarmistici facendo preoccupare gli Italiani sulle oscillazioni del Pil, fotografano spezzoni di realtà interpretati secondo il punto di vista di chi commissiona l’indagine.

Ricordo decenni fa le campagne a favore della carne di coniglio e di maiale, “E’ buona e fa bene”, solo perché bisognava incrementare la produzione nazionale dopo lo stop imposto dalla mucca pazza che ha stravolto tutta la culinaria tradizionale per un tempo infinito. Allora non c’erano normative sulla trasparenza delle etichette né così accentuata sensibilità verso l’informazione al consumatore e tanto meno una preparazione di questi a conoscere ciò che acquista. Oggi possiamo sentirci abbastanza tranquilli, perché sappiamo c’è chi veglia sul nostro piatto: squadre preparatissime di Finanza, Carabinieri e Corpo Forestale che ogni giorno sequestrano tonnellate di cibi avariati, contraffatti, e persino interi allevamenti di animali nutriti con schifezze. In questa situazione, per effetto della catena alimentare, carne, latte, formaggi, e derivati, forniti da animali adulterati, possono tranquillamente arrivare sul mercato ed essere distribuiti attraverso macellerie, supermercati, o la ristorazione, e produrre conseguenze sul consumatore finale.
 
I signori che raccolgono i dati e li elaborano non mettono niente di proprio, sono asettici, in effetti i numeri sono spersonalizzati, non hanno anima né pancia. Ma noi ragioniamo, e quando ci accorgiamo di avere disturbi nella digestione, andiamo alla ricerca della causa e spesso scopriamo una intolleranza alimentare o un’allergia. Poi si lamentano del calo delle vendite? Quasi il 30 per cento della popolazione italiana è allergica o intollerante al lattosio, e forse anche di più, giacché molti lo ignorano non avendo capito che certi disturbi alle articolazioni sono legati al mal assorbimento delle proteine del latte. Coloro che hanno sperimentato tali reazioni del proprio organismo (manifestabili sia in primissima età sia dopo i 40 anni) si guardano bene dall’acquistare prodotti caseari e in ristorante si premurano di chiedere pietanze che non implichino cotture con panna, burro, parmigiano, guastando agli chef la preparazione di un risotto con i fiocchi. In progressivo aumento anche i casi di intolleranza al glutine e di celiachia.
 
Studi europei stimano l’incidenza delle intolleranze intorno al 13 per cento nei bambini e al 10 per cento negli adulti. In Italia in pochi anni le diagnosi sono raddoppiate arrivando a 135 mila, con un incremento di circa il 10 per cento all’anno negli ultimi 5 anni mentre il numero teorico di celiaci potrebbe essere intorno ai 600 mila in incremento annuo di circa il 10 per cento (dati 2011 dell’ultima relazione al Parlamento presentata nel 2012, http://www.salute.gov.it/). Come prendere, dunque, la notizia contenuta nel recente Rapporto biennale Fao (“Food Outlook”) sulla prevista produzione cerealicola record che “se mantenuta rappresenterebbe un aumento del 6,5 per cento rispetto al livello ridotto dello scorso anno a causa di una maggiore produzione mondiale” specialmente di grano e mais, con scorte superiori alle previsioni, mentre la domanda dovrebbe attestarsi ad un +3 per cento?
 
Il consumatore attento alla propria salute teme fortemente che tali cereali siano trattati dagli igienisti che intervengono nelle pratiche agricole con concimazioni spinte con nitrati e un aumentato carico di glutine, al fine del cosiddetto miglioramento genetico del grano, come messo in pratica negli ultimi cento anni. Grano che poi diventa anche farina ad uso animale e umano, in un reticolato alimentare a ciclo continuo e senza scampo.
 
                                                               Maura Sacher
                                                            m.sacher@egnews.it
 


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