La parola ai produttori

Il sogno di Pojer e Sandri

Le storie del vino Italiano

C’è qualcuno che i sogni li avvera e così è stato per quelli di Pojer e Sandri con la loro viticoltura. Una visione immaginata nel 1975 quando armati più che altro di tanta passione cominciano a svilupparla su due ettari di vigna, intraprendendo una grande ricerca nelle principali zone vitivinicole per integrarne i contenuti e le esperienze con la viticoltura locale.

Tra le loro prime sfide la scelta del territorio, la collina di Faedo in Val di Cembra indicata allora come non proprio il posto migliore per produrre vino. Un’intuizione vincente che ha ribaltato le credenze, intravedendo peculiarità quali le lunghe ore di esposizione solare dei vigneti unita alla ricchezza del suolo e alla ventilazione assicurata dall’Ora del Garda che completa il quadro pedoclimatico.

La produzione che ne è seguita con Nosiola,Traminer, Müller Thurgau, Pinot Nero, fino al Sauvignon e al Vin dei Molini, collocano la collina di Faedo esattamente sulle vette qualitative riconosciute all’intera Val di Cembra.

Nascono li anche le riserve  Faye sia bianco che rosso, che utilizzano in trentino per la prima volta le barriques francesi, impiegate anche per i 2 Besler: Biank e Ross. Vini concepiti nel segno della ricerca e della sperimentazione, che ha portato  Pojer e Sandri a scegliere la rinuncia alla chimica per rigettare lo standard industriale perseguendo unicamente la pulizia e l’autenticità dei propri vini.

Una scelta allora coraggiosa e sempre sostenuta da collaborazioni scientifiche, la più significativa delle quali è quella con la vicina Fondazione Edmund Mach. Il coraggio è stato comunque una costante che ha sempre accompagnato Pojer e Sandri lungo un percorso mai scontato, che li ha visti tra i primi produttori  a proporre lo Chardonnay o il Sauvignon Blanc, quando magari sarebbe stato più facile dedicarsi ad altro e che oggi prosegue con il progetto “Zero Infinito”.

“Zero trattamenti in campagna, Zero solforosa, Zero lieviti commerciali liofilizzati, Zero chiarificanti, Zero filtrazioni, Zero antiossidanti” e massima attenzione nelle scelte clonali, per incrocio (impollinazione) tra Vitis Silvestre (Labrusca – Amurensis) e Vitis Vinifera (Europea), oltre che di potatura e conduzione del vigneto.

Progetto sviluppato tra i terrazzamenti a secco di Grumes nel Maso Rella, tra i 400 e i 900 m.s.l., che porta avanti la rinuncia alla chimica  nell’idea di purezza dei vini da sempre perseguita da Pojer e Sandri.

Nella loro grande avventura vissuta sempre sulle ali dell’entusiasmo, un posto di rilievo è quello occupato dalla distilleria che sin dagli inizi produce grappe monovitigno, a cui si sono poi aggiunti i distillati di frutta trentina. Anche qui stesso approccio: ricerca, studio delle esperienze internazionali e qualità, sono sempre state le linee guida per una produzione come si conviene ad un prodotto fortemente rappresentativo dell’Italia nel mondo come la Grappa. Anche di questo abbiamo avuto il piacere di parlare nell’interessante scambio di opinioni con Mario Pojer:

Il vostro sito recita: “1975, due giovani, due ettari, poche risorse, qualche idea, molto coraggio, un sogno”. Questo sogno, lo avete raggiunto o siete andati oltre?

Sono passate 46 vendemmie e in realtà non avremmo mai immaginato l’attuale posizione. Allora nessuno credeva in noi. Faedo la nostra terra era considerata di serie B. solo schiava base per il Lago di Caldaro che veniva venduto all’estero dalle cantine altoatesine. Oggi perlomeno siamo riconosciuti. Cresciuti dai due ettari di allora agli attuali 33. Nelle 5 top aziende trentine siamo sicuramente presenti. Oltre al successo aziendale ciò che mi da ulteriore soddisfazione è la nascita in zona di altre realtà produttive sul nostro esempio. Faedo è l’ unico paese in Trentino dove i vignaioli indipendenti rappresentano più del 50% della superficie vitata coltivata. La cooperazione rappresenta in provincia di Trento il 90%. Il numero di aziende vitivinicole per superficie vitata è il più basso d’Italia. 10.000 ettari in trentino con 150 cantine presenti, una ogni 67 ettari di superficie. La media nazionale vede un’azienda imbottigliatrice ogni 10/15 ettari di superficie.

Avete messo subito al centro il concetto di vini puri ed un percorso di allontanamento progressivo dalla chimica. In un’epoca in cui altri producevano vini molto diversi, da dove è nata l’intuizione nel perseguire quello stile che oggi sembra invece aver conquistato definitivamente il pubblico? 

Sono enologo per passione e per genetica. Mio bisnonno, mio nonno e mio padre erano enologi, purtroppo tutti sono mancati molto giovani. Io sono rimasto orfano a 3 anni. Mio padre giovane enologo in una grande cantina veneta è rimasto intossicato da anti fermenti aggiunti illegalmente nei vini di allora, resi stabili biologicamente attraverso aggiunte di prodotti chimici. Maledetta enologia del tempo, i vini leggermente dolci venivano stabilizzati in questa orribile maniera. Nel nostro caso il sogno era produrre un vino con la sola uva, che sembra banale e scontato ma in realtà dalla vigna alla bottiglia diversi prodotti esogeni entrano nella trasformazione. Tutti gli sforzi sono stati indirizzati nel ridurre le aggiunte esogene e siamo arrivati all’ obbiettivo con il PROGETTO ZERO INFINITO.

Innovazione, ricerca e studio, come si conciliano nella produzione l’utilizzo delle tecnologie più avanzate con i metodi radicati nella tradizione?

E’ interessante notare che la fermentazione dei nostri rossi riserva RODEL PIANEZZI (pinot nero)e ROSSO FAYE (uvaggio bordolese) avviene in tine di legno che prendono spunto da un affresco del 1400 presente al castello del BUONCONSIGLIO di Trento. Siamo tornati indietro di 600 anni per vinificare i nostri rossi. Completamente all’opposto la vinificazione in bianco dove abbiamo sviluppato delle tecniche innovative che non esistevano. Raffreddamento e lavaggio delle uve, caricamento pressa e torchiatura in atmosfera modificata in assenza di ossigeno. Addirittura 2 brevetti internazionali e più di 3000 cantine nel mondo che utilizzano la nostra tecnologia.

In questo senso quanto è importante la collaborazione nella ricerca con la Fondazione Edmund Mach?

Da sempre abbiamo avuto con la FONDAZIONE MACH un rapporto di collaborazione, non sono sufficienti le intuizioni e le chiacchiere, servono dati, analisi, consigli, risultati. Nel ’92  abbiamo progettato la nostra distilleria e il riferimento a San Michele era il prof. GIUSEPPE VERSINI, la massima autorità in campo distillazione a livello italiano e non solo. più tardi abbiamo sviluppato la iperriduzionenella pressatura delle uve e la lavauva (jacuzzi) con l’ assistenza del prof. FULVIO MATTIVI ricercatore di fama mondiale.

Tra i vostri viaggi di studio c’è stato qualche territorio che più di altri ha segnato in modo evidente la vostra viticoltura?

Sicuramente la zona che più ha segnato le nostre scelte è stata l’ALSAZIA, anche se spunti li abbiamo presi in tantissime zone vitate del mondo. Dove c’è vite sono stato. L’ ultimo viaggio era già prenotato in Armenia dove 8000 anni fa è nato il primo vino. Purtroppo il covid e guerre in corso hanno cancellato il progetto.

Tra i primi a vinificare lo chardonnay ma certamente convinti sostenitori del rispetto della natura del vostro territorio. In questo senso per voi i vitigni autoctoni sono una priorità oppure alla base c’è la ricerca di come i vitigni si adattano alle caratteristiche pedoclimatiche locali.

Non abbiamo avuto la fortuna di nascere in Barolo o a Montalcino o in Borgogna. Il Trentino a parte rare perle è sempre stato un produttore di uve e vini con terzi. Prima gli austriaci, più tardi gli altoatesini, i veneti, i toscani, piemontesi, oggi gli americani. La nostra è sempre stata una continua ricerca e sperimentazione di varietà da adattare alle tante variabili dei nostri vigneti. Partendo dal Müller Thurgau per arrivare alle varietà resistenti (piwi).

Dei vini di quale territorio oltre al vostro siete appassionati e con la fantasia dove vi piacerebbe essere viticoltori oltre che da voi?

Sono un fanatico dei vini che nascono sugli scisti quindi Mosella, Porto, Priorat, Baniuls, Faugeres.

“Zero Infinito” è un punto di arrivo o l’inizio di un nuovo percorso?

Con il PROGETTO ZERO INFINITO siamo appena usciti con il PERPETUO. Un macerato bianco da 10 vendemmie tardive stile soleras. È in maturazione in legno già dal 2013, il nostro brandy artigianale italiano ad impatto chimico zero. Zero in campagna, zero in cantina e zero in distilleria. La sperimentazione continua, guai fermarsi. 

La Grappa è un prodotto che significa inequivocabilmente Italia ed è quindi un biglietto da vista della sua enogastronomia d’eccellenza, sentite la responsabilità di una produzione così importante?

La grappa con la pizza e la pasta sono i prodotti gastronomici che più rappresentano l’Italia nel mondo. Per noi è una cosa seria e l’ impegno è sempre stato indirizzato alla qualità e soprattutto alla purezza. Uva lavata, pressata in protezione dell’ossigeno, vinaccia diraspata e denocciolata, distillata a bagnomaria, entro 5 giorni dalla pressatura. Purtroppo la grappa sul mercato è diventata un liquore, aggiunta di zuccheri, aromi, caramello, trucciolo di rovere. Non è la nostra filosofia e ci sentiamo un po’ spiazzati sul mercato. 

La viticultura ai tempi del Covid: quali aspetti sono cambiati e tornerà tutto come prima a livello di politiche di comunicazione, distributive ecc?

I cicli naturali della vigna continuano regolari ed il nostro impegno rimane uguale, come sempre. altrettanto in cantina, distilleria e acetaia.  Putroppo mancano le 7000 persone che annualmente visitano l’azienda. Vendiamo soprattutto nel settore HORECA e tutto o quasi è bloccato. Un settore per noi importante era il consumo sulle navi da crociera. Buio completo. Non ci sono più le classiche fiere vinitaly, prowine, biofachmeranerwine festival e soprattutto il mercato dei vignaioli FIVI. Mancano le serate, le presentazioni, le lezioni alle varie categorie, ristoratori sommelier, futuri enologi. Abbiamo dovuto ripensare la strategia di comunicazione e anche di vendita. Attraverso i social entriamo nelle case degli italiani e con l’e- commerce e i corrieri consegniamo i nostri prodotti. Video, degustazioni online ma soprattutto la documentazione del nostro lavoro quotidiano. Per fortuna abbiamo sempre investito in innovazione di prodotto e di processo e con il nostro PROGETTO ZERO INFINITO da varietà resistenti PIWI abbiamo centrato l’obbiettivo, prodotti unici e molto appetibili. Più del 50% va all’ estero. Giappone, Corea, Singapore, Taiwan, California, Germania. L’ idea della purezza a zero impatto chimica esogena ha fatto centro.

Quale è il danno maggiore di questa catastrofe planetaria per la viticultura e cosa chiederebbe come primo intervento da parte dello stato a sostegno del comparto vino?

Il danno maggiore è che purtroppo in questa fase chi ha puntato sulla qualità e l’identità sta soffrendo.  Chi invece ha puntato sui numeri ed il basso prezzo è in piena crescita. La grande distribuzione è vincente. Allo stato oggi chiedere risorse mi sembra fuori luogo, ma un grande aiuto potrebbe essere quello di snellire la burocrazia, agevolare le piccole aziende per non vedersi sommersi da pochi e potenti gruppi vinicoli che in questo momento stanno monopolizzando il mercato mondiale.

Bruno Fulco

 

 

 

 

 

 

 


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