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Il Prosek minaccia il Prosecco?

Ci risiamo con gli allarmismi in campo enologico.

È, per lo meno lo è stata per alcuni giorni, all’onore delle cronache e nelle preoccupazioni del settore vinicolo la notizia che la Croazia intende fare domanda alla UE per ottenere la protezione del loro Prosek.

Siccome il suono della parola richiama l’italiano Prosecco, tutti sono saltati sulla sedia, dal parlamentare europeo Paolo De Castro (Partito Democratico) a Gian Marco Centinaio (Lega) sottosegretario del MIPAAF, già Ministro, a Federvini a Coldiretti e via elencando il rimbalzo.

Si è gridato al pericolo del “falso” Made in Croazia, come se fosse un “Parmesan”.

Io che sono della regione Friuli Venezia Giulia non posso dimenticare le vicende che hanno portato a far perdere il nome al nostro “Tocai”, diventato banalmente “Friulano”, di fronte alle rivendicazioni dell’Ungheria che godeva del suo “Tokaji”. Due vini assolutamente differenti: dolce quello ungherese, tra l’altro prodotto in una precisa zona, secco o leggermente amabile quello nostro del Collio goriziano (e pure sloveno).

O quando fu il Veneto a vincere sulla proprietà della denominazione “Prosecco” per il Valdobbiadene, quando da noi, e precisamente nella località triestina di Prosecco (non vuol dire niente il toponimo?) il vitigno si coltivava fin dall’epoca romana. Oggi ridimensionato a “glera”.

Nonostante i vincoli, alcuni viticoltori carsici (di comunità linguistica slovena) non si sono arresi, conservando il termine “Prosekar” per la propria versione dell’antico vino frizzante.

Il Prosek croato, tuttavia, non coincide né con un nome geografico né con il nome di un vitigno.
Si tratta di un vino dolce da dessert prodotto da uve bianche (soprattutto nella sud della Dalmazia), da uve appassite. L’uvaggio stabilito riguarda i vitigni autoctoni Bogdanuša, Maraština, Vugava e Plavac Mali.
La barbatella Glera non è prevista nel disciplinare.
Qualcosa di simile al Vino Santo, dunque, e niente a che fare con il Prosecco doc, né veneto né triestino.

Ci risiamo, dunque, con la confusione e i falsi allarmi.

A meno che non ci tocchi come con il Tokaji. Con la UE non si sa mai.

Ma ora pure la Francia se la deve vedere con la Russia in merito allo “Champagne”.

Maura Sacher


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