
Il futuro del vino italiano: Un mercato in bilico

Mentre i grandi produttori vinicoli italiani si preparano a un calo delle esportazioni, soprattutto verso il mercato americano a causa di possibili dazi, l’intero settore si interroga sul futuro.
Le strategie adottate variano notevolmente a seconda delle dimensioni aziendali, rivelando una situazione complessa e diversificata.

Le grandi aziende si trovano ad affrontare un rallentamento degli acquisti internazionali. Di fronte a questa prospettiva, stanno adottando misure preventive.
Per gestire le eccedenze, stanno investendo in sistemi di stoccaggio avanzati e, allo stesso tempo, chiedono ai propri fornitori di ridurre la produzione in vigna.
La loro forza risiede nella capacità finanziaria di assorbire l’impatto di un mercato globale instabile e di pianificare a lungo termine. Tuttavia, un calo significativo delle vendite internazionali rappresenta una sfida notevole anche per loro.
Piccoli e Medi Produttori: La lotta per la sopravvivenza

Per la maggior parte dei piccoli e medi produttori, la situazione è ben diversa. La loro sopravvivenza non dipende tanto dalle dinamiche del mercato globale, ma dalla capacità di sostenere la propria attività con vendite prevalentemente locali e nazionali.
Tuttavia, anche loro sono in difficoltà a causa del costante calo dei consumi di vino in Italia. Il consumo pro capite è diminuito drasticamente negli ultimi anni, passando da 37,9 litri nel 2018 a circa 26,3 litri nel 2024.

Questo calo dei consumi ha creato un problema immediato: le rimanenze in cantina. Un piccolo produttore, che deve produrre un certo quantitativo di vino per mantenere la sua azienda sostenibile, si trova con un surplus di bottiglie invendute.
Questo crea un doppio problema: Spazio: Le rimanenze occupano spazio prezioso, come le cisterne, che servono per le lavorazioni del nuovo vino, come i travasi.
Liquidità: La mancanza di liquidità derivante dalle vendite mancate mette a rischio la sostenibilità economica dell’azienda.
Per risolvere il problema, molti piccoli produttori sono costretti a vendere le loro eccedenze di vino “sfuso” o “in cisterna” a prezzi inferiori.

Chi acquista questo vino?
Spesso sono proprio i grandi produttori, quelli che subiscono gli effetti dei dazi internazionali e che cercano soluzioni per integrare le loro scorte a costi ridotti.
Questa dinamica crea un circolo vizioso: il piccolo produttore, già in difficoltà, si ritrova a vendere la sua produzione a un prezzo che non sempre copre i costi, mentre il grande produttore, che potrebbe essere il suo concorrente, si rafforza.
Il ruolo dello Stato: Una soluzione possibile

Di fronte a un settore così strategico per l’economia e la cultura italiana, si rende necessaria una soluzione che vada oltre le singole strategie aziendali. Un intervento mirato dello Stato potrebbe essere la chiave di volta.
L’ipotesi di un investimento pubblico per rilanciare i consumi interni si configura come una mossa cruciale per sostenere l’intero settore, dai piccoli ai grandi produttori. Il modello potrebbe basarsi su:

- Campagne di promozione e sensibilizzazione: Promuovere il vino come parte integrante della cultura italiana, della Dieta Mediterranea e di uno stile di vita sano e conviviale, contrastando la narrazione proibizionista e demonizzante. L’obiettivo sarebbe rieducare al consumo consapevole, specialmente tra le fasce più giovani della popolazione, che oggi si stanno allontanando da questo prodotto.
-
La cantina Bisol1542 a Santo Stefano di Valdobbiadene Incentivi per la filiera: Sostenere con fondi mirati le piccole e medie imprese che investono in strategie di vendita diretta, enoturismo e promozione sul territorio nazionale. Questo non solo aiuterebbe a smaltire le rimanenze, ma rafforzerebbe anche il legame tra produttore e consumatore.
- Agevolazioni fiscali e burocratiche: Ridurre gli oneri per i piccoli e medi produttori, semplificando le procedure e offrendo un accesso più facile ai fondi europei già esistenti (come quelli previsti dall’OCM Vino).
L’incremento dei consumi interni non eliminerebbe del tutto le difficoltà legate al mercato internazionale, ma darebbe respiro a quella stragrande maggioranza di aziende che oggi fatica a sostenersi.
Il divario tra le categorie

In conclusione, il confronto tra queste due categorie rivela un divario crescente.
I grandi produttori, con la loro capacità di adattarsi al mercato globale e di investire, riescono a gestire la crisi, spesso a spese dei più piccoli.
I piccoli e medi produttori, invece, pur non essendo direttamente esposti ai dazi americani, subiscono indirettamente le conseguenze di un mercato in crisi, trovandosi in una posizione di vulnerabilità.
La vera sfida per loro non è solo la vendita, ma anche la ricerca di un equilibrio economico che permetta di sostenere l’attività e la famiglia, in un contesto dove il calo dei consumi e le difficoltà di stoccaggio mettono a dura prova la loro resilienza.
Per questo, l’intervento dello Stato per rilanciare il consumo interno non è solo un’opzione, ma una necessità per garantire il futuro di un patrimonio culturale ed economico unico al mondo.
Grazie per aver letto questo articolo...
Da 15 anni offriamo una informazione libera a difesa della filiera agricola e dei piccoli produttori e non ha mai avuto fondi pubblici. La pandemia Coronavirus coinvolge anche noi. Il lavoro che svolgiamo ha un costo economico non indifferente e la pubblicità dei privati, in questo periodo, è semplicemente ridotta e non più in grado di sostenere le spese.
Per questo chiediamo ai lettori, speriamo, ci apprezzino, di darci un piccolo contributo in base alle proprie possibilità. Anche un piccolo sostegno, moltiplicato per le decine di migliaia di lettori, può diventare Importante.
Puoi dare il tuo contributo con PayPal che trovi qui a fianco. Oppure puoi fare anche un bonifico a questo Iban IT 94E0301503200000006351299 intestato a Francesco Turri