Tribuna

Il cameriere gentile, fin troppo irreale

Entrando in un ristorante generalmente ci viene chiesto se abbiamo prenotato, e ciò ci può mettere in imbarazzo se non l’abbiamo fatto, specie se siamo in vacanza o di passaggio, e ci fermiamo in un posto che ci sembra confortevole per il nostro appetito.

Non è raro sentirci dire dalla cortese persona che ci viene incontro che senza aver prenotato o non c’è posto o dobbiamo aspettare “almeno mezz’ora”, e sul suo volto leggiamo un sincero rammarico, una contrizione che quasi ci commuove, per cui – consultandoci tra di noi – il più delle volte ci mettiamo in attesa, quasi per non fare uno sgarbo al personale così gentile.
Ci manca da scegliere se restare dentro o metterci fuori del locale, tenendo d’occhio l’andirivieni di altri avventori, casomai la nostra priorità venisse sorpassata.

E nel contempo sorvegliamo il cameriere, o il caposala o chi sia a seconda del livello del locale in cui ci siamo recati, per sincerarci che si ricordi di noi. Talvolta, con nostra sorpresa, riceviamo cenni rassicuranti, e l’attesa del nostro tavolo ci sembra meno pesante.

Il massimo dello stupore, e la conferma che siamo nel locale giusto, ci arriva dall’invito del suddetto personale a sorbire un “frizzantino”, omaggio della casa, il che si traduce nell’attendere anche oltre la mezzoretta precedentemente annunciata.
A tutti parrebbe ovvio che l’offerta così gentile è una trappola per trattenere il cliente e non farlo scappare, sì da sottrarlo alla concorrenza, ma tra l’opzione di metterci in coda da un’altra parte e la gentilezza che costì ci viene elargita, accogliamo con un largo sorriso il consiglio.

Del resto abbiamo scelto questo locale per il menù proposto, e non siamo disposti a rinunciarci.

Finalmente è il nostro turno, un altro cameriere, impettito ancorché complimentoso, anzi, una cortesissima sorridente figura femminile, che poi scopriamo la giovane consorte del proprietario, ci fa strada e ci fa accomodare in una postazione già apparecchiata per il numero di persone che siamo. In men che non si dica arriva il battaglione di personale addetto alle varie comanda, dal bere alle pietanze al dolce.

Il bere arriva velocemente, anche se i sorrisi di chi serve non sono gli stessi di chi ha segnato l’ordine, anzi, quasi ci deprime l’umore. All’esaurimento della nostra pazienza, ecco che arrivano i piatti e chi li serve ci ripaga della stanchezza fisica e della debolezza organica.
Ci descrive ogni pietanza come l’avesse cucinata lui e ci sentiamo più che appagati del tempo trascorso e confortati che lo chef abbia pensato a noi con tanta cura.

Alla fine del pasto è il momento del dolce. Arriva in persona il capo pasticciere, che ci illustra le sue creazioni. Ecco il momento paradisiaco della nostra lunga attesa di partenza.
Un’altra gratificazione: caffè e digestivi offerti dalla casa.

Se tutti i locali tenessero queste attenzioni per i clienti occasionali, il nostro Paese davvero potrebbe vantarsi di essere a “vocazione turistica”, senza maggiorare i prezzi a seconda della provenienza nazionale dei clienti. Prospettiva fin troppo irreale.

Maura Sacher


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