Stile e Società

I Ristoranti in casa: un boom al risparmio con rischio frodi

Non hanno insegne, si fanno pubblicità con discreto passaparola o nel web attraverso più o meno esplicite offerte in appositi blog, un po’ come il car-sharing, le proposte di condividere un tragitto in automobile assai sfruttato all’estero dagli studenti universitari pendolari o da manager aziendali in spirito di spending review: qui si tratta di cucine, tinelli, sale da pranzo di appartamenti di cittadini privati messi a disposizione dei primi che passano.

Ovviamente previa prenotazione, sempre on-line via mail, tramite Facebook o Twitter, anche con una telefonata, talvolta a pagamento anticipato o con una specie di abbonamento per una serie di pasti a periodo limitato.
A creare il giro a volte è l’inventiva di singole casalinghe appassionate di cucina, impossibilitate ad aprire un locale pubblico vuoi per l’ottusità della burocrazia vuoi per altri motivi che non stiamo a sindacare, altre volte sono le necessità economiche di giovani studentesse per aiutarsi a pagare l’affitto fuori casa, ne ho conosciute un paio.
Esiste anche una via misteriosa che si rivolge ai turisti stranieri di passaggio.

Ciò sfugge alle maglie del fisco, infatti non può esistere alcun tipo di scontrino valido, il compenso al massimo va a figurarsi in una specie di ricevuta come libera donazione. Inoltre – non per demonizzare, anche a me stuzzica l’idea ora che mia figlia sta per prendere il volo per i suoi orizzonti e mi piace cucinare e detesto gli sprechi alimentari – chi può garantire il commensale della genuinità degli alimenti somministrati? Forse solo il fatto che anche l’ospitante mangia alla medesima tavola?

Infine ci sono dei cuochi che si propongono a domicilio, chef più o meno di rango in un qualche ristorante locale e/o maestri di scuole di cucina, che di questi tempi arrotondano (anche per farsi réclame) offrendosi alle dimore signorili per banchetti e cene importanti.
Lodevole da parte loro a prestarsi a domicilio, la cena è sempre un successo, ma chi assicura che in ogni parte d’Italia, regione, città, paese, si operi conformemente ai principi etico-sociali contro l’evasione fiscale e alla sicurezza degli alimenti somministrati?

Tutti siamo con la spada tributaria di Damocle sulla testa, ma un po’ di respiro alla circolazione di denaro lo vogliamo dare per salvarci dalla recessione?
Che si perseguano innanzitutto i grandi evasori, quelli che si sono registrati la residenza all’estero pur avendo la sede lavorativa in questo Paese o si vada a fare le pulci a coloro che si dichiarano nullatenenti e hanno patrimoni di milioni di euro intestati a parenti (o a società in isole tropicali), e poi si vada a cercare i guadagni “in nero” di chi vuole soltanto sopravvivere per un tozzo di pane!

Maura Sacher
m.sacher@egnews.it


Grazie per aver letto questo articolo...

Da 15 anni offriamo una informazione libera a difesa della filiera agricola e dei piccoli produttori e non ha mai avuto fondi pubblici. La pandemia Coronavirus coinvolge anche noi.
Il lavoro che svolgiamo ha un costo economico non indifferente e la pubblicità dei privati, in questo periodo, è semplicemente ridotta e non più in grado di sostenere le spese.
Per questo chiediamo ai lettori, speriamo, ci apprezzino, di darci un piccolo contributo in base alle proprie possibilità. Anche un piccolo sostegno, moltiplicato per le decine di migliaia di lettori, può diventare Importante.
Puoi dare il tuo contributo con PayPal che trovi qui a fianco. Oppure puoi fare anche un bonifico a questo Iban IT 94E0301503200000006351299 intestato a Francesco Turri

Articoli correlati

Pulsante per tornare all'inizio