Tribuna

Gli stuzzicadenti resistenti

Il Galateo moderno proibisce che sotto qualunque forma e dentro a qualunque contenitore siano messi in tavola quegli stecchini di legno dalle estremità appuntite che tante persone hanno imparato ad usare con precisione chirurgica negli interstizi della dentatura a fine pasto, e altresì ritiene estremamente inopportuno che un commensale ne faccia richiesta.

Già nel Medioevo risultava sconveniente per non dire disgustoso l’armeggio della pulizia dei denti davanti ad altri commensali, sia ficcando le dita in bocca sia utilizzando l’oggetto più spesso sottomano: il coltello, quello stesso che ognuno si portava nel fodero e che in tavola veniva adoperato per tagliare le carni e portarle alla bocca (vi ricordo non era ancora apparsa la forchetta individuale).

In merito ai residui di cibo nella bocca, Mons. Giovanni Della Casa, nel 1554, scriveva: «Non sta bene fregarsi i denti con il tovagliolo e nemmeno col dito, né risciacquarsi la bocca e sputare il vino; né è educato, alzandosi da tavola, tener lo stecco in bocca come se si fosse un uccello che stia per fare il suo nido, o sopra l’orecchia come barbieri. E chi porta legato al collo lo stuzzicadenti sbaglia, giacché, oltretutto, quello è uno strano arnese a veder trarre dal petto da parte di un gentiluomo». In effetti questi arnesi, dagli aristocratici portati al collo come normali pendenti ornamentali nel ‘500 e fino al ‘700 erano esemplari in oro, argento o in osso, oggetti di lusso assimilabili a gioielli.

È un comportamento istintivo che si osserva non poche volte negli altri, ma se facciamo caso, capita anche a noi quando sentiamo o temiamo che qualcosa sia rimasto tra i denti: c’è chi passa la lingua sopra l’arcata dentale a bocca socchiusa (è difficile tenere le labbra serrate), chi si strofina col tovagliolo o con un proprio fazzolettino e chi usa i polpastrelli o le unghie (anche a ciò servivano un tempo le unghie dei mignoli). C’è anche chi con un sorso d’acqua o di vino si fa un bello sciacquo sperando passino inosservate le gote gonfie da un lato e poi dall’altro, e c’è persino chi chiede al vicino «ho qualcosa tra i denti?».
È meglio una fogliolina appiccicata piuttosto che una di queste operazioni di rimozione. Soluzione: eclissarsi con disinvoltura e farsi una controllatina allo specchio del bagno. Conosco molte signore che si portano appresso lo spazzolino da denti, quando pranzano fuori casa. Altri risolvono masticando una chewingum (poco elegante lo stesso).

Il gesto più stonato è ricorrere allo stuzzicadenti e lavorare in bocca con il classico gesto dell’altra mano a copertura. Che volete farne delle porcherie che riuscite a rimuovere? Le inghiottite o altrimenti dove le depositate?

Dopo avervi disgustato, vi dò notizie consolatrici. Persino gli scimpanzé si strofinano i denti con ramoscelli, gli uomini più antichi usavano strumenti per la pulizia dentale, erano conosciuti in tutte le culture dalla Cina alla Mesopotamia, dai Greci e Romani, che lo chiamavano «dentiscolpia», ai Celti, si trattava per lo più di oggetti di legno, di osso o di metallo appuntiti anche a doppio uso, ossia per infilzare i cibi. I Romani utilizzavano al medesimo scopo anche delle piume.

Tali oggetti sono menzionati nel Talmud ebraico. In tutto il mondo musulmano gli stuzzicadenti, raccomandati da Maometto (“il profeta dice: usa sempre lo stuzzicadenti perché è una pulizia per la bocca e per l’amore di Allah”), sono dei bastoncini, da masticare, ricavati dalla “Salvadora persica”, un arbusto dotato di proprietà mediche, antisettiche, detergenti, astringenti. Dalla pianta si ricavano stecchi (chiamati Siwāk), le cui fibre sono state promosse dalla OMS come estremamente benefiche per l’igiene orale.

Gli stuzzicadenti moderni sono stati inventati in pieno 1800 negli USA, per strepitosa idea di un esperto venditore Charles Forster, il quale, trovandosi in Brasile, si accorse che gli indigeni avevano cura dei loro bei denti usando stuzzicadenti artigianali. Faticò non poco a mettere sul mercato la produzione degli stecchini, ma quando ci riuscì essi diventarono una moda, persino tra le signorine per bene. Chi non si ricorda i tanti eroi della cinematografia con lo stecco in bocca o dietro l’orecchio?

Ma per tornare ai nostri giorni, quelle lontane immagini deprecate dal Della Casa nel lontano Rinascimento verranno recepite in toto dal «Nuovo Galateo» di Melchiorre Gioia del 1803, e, come tutti si accorgono, nonostante l’insistenza dei contemporanei Manuali di Galateo, sono assolutamente resistenti a scomparire dalla tavola dell’uomo del 3° Millennio.
Eppure esistono almeno cinquanta altri modi per utilizzarli proficuamente.

donna Maura


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