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Gli orrori della cucina italiana all’estero

Che mi guardi con quella faccia intrepida? Mi sembri un verme maccarone, questa è roba da americani, vedi?
Yogurt…mammellata…la mostarda…Ammazza che zozzeria….
Pasta condita col ketchup, spezzatini maleodoranti che campeggiano su tagliatelle scotte, Cesar salad, spaghetti con polpette o polpette con spaghetti.

Non c’è certo bisogno di scomodare il grande Alberto Sordi alias Ferdinando Mericoni, nella sua magistrale interpretazione in “Un americano a Roma” di Steno, per capire quanto il sogno americano abbia cambiato il nostro modo di essere e quindi di concepire i consumi anche in ambito alimentare.
Nello specifico abbiamo assistito a una totale trasfigurazione del prodotto agroalimentare italiano tipico; la sua immagine di qualità, di legame stretto con la terra, è stata via via masticata, triturata, digerita e, ahimè, evacuata sotto forma di piatti e prodotti per cui vale il detto che molte volte l’abito non fa il monaco.
Sembra però che i tempi della sofisticazione alimentare Made in Italy siano destinati al declino.
Vediamo infatti un’istituzione della cucina come l’Accademia Barilla, nata proprio con lo scopo di difendere e salvaguardare i prodotti della nostra penisola confezionati da artigiani seri e certificati rispetto alle imitazioni low cost che costellano il panorama della ristorazione italiana all’estero, che tramite dei corsi destinati ai turisti stranieri rieduca e precisa cosa è veramente italiano da ciò che in realtà non lo è.
Capita spesso che gli stranieri mangino nei loro paesi di origine qualcosa che è spacciato come cibo italiano e poi una volta venuti in visita nel Bel Paese questi pretendano le stesse identiche preparazioni. Grazie al lavoro di rieducazione della scuola di cucina parmense e alla voce del periodico inglese “The Independet” è stato possibile realizzare una lista di peccati capitali da evitare per mangiare un pezzo di Italia verace.

La prima regola che salta all’occhio è il consiglio vivamente caldeggiato di non sorseggiare caffè o cappuccino durante i pasti, e qui torna l’Albertone nazionale: “Vedi perché gli americani battono gli apache, bevono latte non vino rosso”.
Non mettere l’olio nell’acqua della pasta. Questa è un’abitudine che purtroppo ho visto fare anche dai nostri cugini d’oltralpe. L’unica eccezione consentita a questo divieto è quando si cucina pasta fresca fatta in casa, qui l’olio in cottura ha una funzione antiaderente. 
Non condire la pasta col ketchup. E qui ogni commento sarebbe pleonastico.

L’unico punto della lista che non si concilia appieno con la mia visione storica del cibo italiano è l’avvertenza a non mischiare riso o pasta con piatti di carne, eccezion fatta per l’ossobuco alla milanese. In realtà, gli anglosassoni in questo senso hanno più ragione di noi. Anticamente infatti la pasta veniva scotta apposta perché sarebbe stato il “companatico” da intingere nelle carni, da qui poi sarebbe nato il ragù.

Poi la lista continua con un limbo di piatti non battezzati e dalla natalità certamente non autoctona: come la Cesar salad, inventata sì da un italiano ma a Las Vegas, una delle vincite di azzardo più riuscite, o le ambigue Fettuccine Alfredo per non citare il Chicken with pasta. 
Persino alcuni piatti simbolo come la carbonara sono stati oggetto di discussione, pare che sia nata durante l’occupazione statunitense della capitale negli anni ’40. Si pensò in periodo di fame di aggiungere alla Gricia(la vera pasta romana per eccellenza con pecorino e guanciale) la celeberrima razione K che conteneva appunto uova e bacon.

Un’ultima riflessione: provo gran piacere nel vedere che la qualità sta finalmente occupando il posto che merita, l’unica nota amara che mi resta in bocca è che si sia schierata in prima linea un’istituzione privata mettendoci la faccia e il nome. Avrei di gran lunga preferito delle azioni più incisive da parte di altre istituzioni, quelle pubbliche, che invece sembrano sapere cos’è veramente l’agroalimentare solo quando si parla dell’esposizione internazionale di Milano. Sarebbe il caso di farsi sentire in Europa, che si varino leggi al fine di tutelare veramente il patrimonio agroalimentare italiano e che si emanino certificazioni più vere, più attaccate alla realtà del produttore, sennò ‘sto maccarone rischiamo di distruggerlo sul serio!
Maccarone, m’hai provocato e io ti distruggo adesso, maccarone! Io me te magno…!
G. Camedda


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Redazione

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