Tribuna

Stavolta la frode è rosé e si sposta in Calabria

Ogni territorio ha le sue usanze e le sue modalità di vita, ma le abitudini del malaffare parlano purtroppo una lingua comune e questo accade anche nel mondo del vino. Cambiano  metodi di vinificazione, sistemi di allevamento della vite e modo di operare in vigna ma quello che pare accomunare tutto il paese è radicato nelle cattive abitudini.

La piaga delle frodi nel settore vitivinicolo si ripete ciclicamente, investendo indiscriminatamente tutto il territorio nazionale da nord a sud. Squallidi individui disseminati e ben nascosti nella massa operosa e onesta dei viticultori italiani, lavorano senza sosta per vanificare il lavoro di questi ultimi. Un’opera di costante affossamento per la credibilità delle produzioni e della cultura vitivinicola italiana.

La vastità ampelografica del paese è un’opportunità quasi irripetibile altrove, una fonte di ricchezza che solo menti malate riescono a trasformare in un elemento a sfavore operando illeciti sui disciplinari. Stavolta il teatro di questa brutto vizio italico è la Calabria e più precisamente Lamezia Terme, in provincia di Catanzaro. Ad essere colpita è una delle tante Doc che nella loro varietà dovrebbe rappresentare una grande opportunità, ma che l’operato di pochi cialtroni trasforma in un danno.

Oggetto del sequestro centinaia di bottiglie di “Scavigna rosato doc 2017”, l’intera produzione di un’azienda che nella vinificazione ha utilizzato vitigni diversi e non compatibili con il disciplinare di produzione. Ad eseguire il decreto di sequestro preventivo, i Carabinieri del Reparto tutela agroalimentare di Salerno che nella mattinata del 10 dicembre hanno sottoposto a vincolo cautelare la produzione, provvedendo al recupero di quelle partite già messe in commercio attraverso i canali della distribuzione.

A smascherare l’ennesima eno truffa sono stati i controlli eseguiti su 37.160 litri di vino, bianco e rosato, Scavigna doc, annata 2017 che il contraffattore aveva prontamente fatto declassare dopo aver ricevuto da parte dei carabinieri, l’avviso di esecuzione per un accertamento tecnico irripetibile. L’inutile tentativo però non è bastato a mascherare la frode ne a mettere al riparo il contraffattore dai provvedimenti di legge.

Gli accertamenti infatti hanno dimostrato senza ombra di dubbio, come i vitigni utilizzati per l’intera produzione non siano tra quelli previsti dal disciplinare della Doc. Di fatto quindi è stato commercializzato un prodotto totalmente diverso da quello dichiarato, non rispondente per quanto riguarda origine, provenienza e qualità. Un sicuro danno di immagine per la viticultura Calabrese che anno dopo anno e faticosamente porta avanti la qualità dei suoi vini.

Un territorio a volte difficile che un nuovo approccio dei produttori riesce ad esprimere non senza sacrifici, a volte vanificati da questa gentaglia da quattro soldi che non bisogna far fatica a definire criminali.  A seguito dell’intervento dei Carabinieri è stato denunciato il rappresentante legale dell’azienda, con l’accusa di vendita di prodotti industriali con indicazioni mendaci, contraffazione di indicazioni geografiche e denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari.

Purtroppo però nella maggior parte dei casi questi illeciti si risolvono con multe e prescrizioni, mentre invece meriterebbero pene ben più severe in grado di scoraggiare i malintenzionati che poi ritroviamo in circolo attraverso presta nome ed altri escamotage. Il sequestro richiesto dalla procura locale ed emesso dal Gip del Tribunale di Lamezia Terme, fa parte di un più vasto filone di indagini condotto dal procuratore Salvatore Curcio. L’obiettivo è quello di individuare tutte quelle pratiche illecite, messe in atto nel tentativo di percepire indebitamente i fondi comunitari destinati all’agricoltura.

Bruno Fulco


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