Abbiamo notato più volte che le minime regole del bon ton a tavola non sono patrimonio collettivo e un telefonino, nelle sue varietà più moderne, con la massima disinvoltura viene spesso posizionato sulla tovaglia. Proprio favorita dalla versatilità di quegli strumentini, si è diffusa la tendenza a utilizzarli per fotografare la scenografia del desco, in qualunque ambiente ci si trovi.
Non sono poche le persone che si prodigano a fotografare i piatti prima di gustarne il contenuto. “Si mangia con gli occhi” non è forse un detto popolare?
È comprensibile che il fascino di un’opera d’arte induca lo spettatore a immortalare un capolavoro, quale spesso è il piatto sapientemente preparato da uno chef, stellato o meno.
I Gourmet e i Foodblogger lo fanno giustificati dal pezzo giornalistico che devono redigere, i più comuni avventori per conservare nella memoria la piacevole sensazione estetica provata e anche per postarla nel social network preferito al fine di testimoniare al mondo degli amici la fortuna capitata.
Alcuni cuochi francesi, invece, da qualche tempo, sono scesi in guerra contro i commensali fotografi. Si sono ribellati, affiggendo cartelli con il divieto di usare smartphone nel locale e addirittura pensando di dotare la sala pranzo di pannelli anti-ricezione cellulare, come altri colleghi della Grande Mela.
Difendono la unicità della loro “performance” culinaria, quasi avessero timore che da una foto si possano scoprire gli ingredienti della ricetta.
È stato persino coniato il termine “foodporn”.
È naturale che uno Chef con le stellette si senta inviolabile e voglia mettere il Copyright sulle proprie creazioni ed è anche vero che in un locale chic non è bello vedere un commensale salire persino sulla sedia per cogliere l’inquadratura migliore (costui dovrebbe vergognarsi!). Sono affronti all’etichetta.
Tuttavia non è che una foto privi della “sorpresa” i futuri eventuali ulteriori avventori, come adducono gli inferociti.
Anzi, l’esaltazione di quella cucina attraverso una fotografia potrebbe diventare strumento di marketing.
Di questo parere sono molti Chef nostrani, i quali riconoscono che è tutta pubblicità gratuita.
A patto che venga giustamente citato il nome del locale o del cuoco, auspicandosi che l’immagine riprodotta sia a giusta definizione e non distorta.
E a meno che la foto di un piatto non venga esibita per gettare una luce negativa sul ristorante, ma ciò sarebbe difficile controllare e verificare.
Ed in ogni caso sarebbe stimolo per un esame di coscienza.
Maura Sacher
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